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Gioacchino Genchi non ha violato i dati personali dell’ex vice procuratore nazionale antimafia Alberto Cisterna acquisendo i suoi tabulati telefonici quando era consulente informatico dell’ex pm Luigi de Magistris e non ha commesso nessun reato rendendo nota la sua rete di rapporti nel libro-intervista ad Edoardo Montolli “Il caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato”. La quinta sezione del Tribunale di Palermo presieduta da Donatella Puleo, a latere Salvatore Flaccovio e Marina Minasola, quindi lo ha assolto dai reati di trattamento illecito di dati e abuso d’ufficio “perché il fatto non costituisce reato”, disponendo la restituzione all’imputato dei beni in sequestro.
All’esito della requisitoria il p.m. aveva chiesto la condanna dell’imputato a due anni di reclusione oltre alle pene accessorie.
Genchi, che è stato difeso dall’avvocato Fabio Repici, aveva rinunciato ad avvalersi della prescrizione nel corso del processo, che si trascina dal 2009. Cisterna si era costituito parte civile ed ha partecipato attivamente a quasi tutte le udienze.
Dopo l’uscita del libro, Gioacchino Genchi è stato costretto per tredici anni a difendersi da una valanga di accuse messe nero su bianco dai pm Claudia Ferrari, Gaetano Guardì, Bernardo Petralia e dall’allora procuratore di Palermo Francesco Messineo, che avevano integralmente condiviso quanto denunciato da Alberto Cisterna, disponendo il sequestro di tutti i sistemi e i supporti informatici al tempo utilizzati da Genchi.
Tutto cominciò quando Genchi – stimato consulente delle più importanti Procure italiane, sin dai tempi delle prime collaborazioni con Giovanni Falcone, oltre che consulente nelle indagini sulle stragi del ‘92 – venne nominato consulente dal pm di Catanzaro, Luigi de Magistris, nelle inchieste “Poseidone” e “Why Not”.
Nel corso dell’acquisizione dei tabulati dei dati relativi al traffico telefonico, emersero alcune utenze cellulari in uso ad Alberto Cisterna, unitamente ad altre in uso a soggetti con lui in rapporti, quando questi svolgeva le funzioni di procuratore aggiunto della Procura Nazionale Antimafia, al tempo in cui era procuratore Piero Grasso. In particolare, il consulente Genchi aveva appurato i rapporti tra Cisterna e Luciano Lo Giudice, appartenente ad una famiglia di ‘ndrangheta di Reggio Calabria.
Per quei suoi rapporti, il Csm aveva applicato a Cisterna la sanzione disciplinare e la misura cautelare del trasferimento d’ufficio e l’incompatibilità a svolgere funzioni requirenti, entrambe confermate dalle sezioni unite della Cassazione.
Non solo, Genchi aveva riscontrato soprattutto che Cisterna si sentiva spesso con l’avvocato Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia, recentemente arrestato con l’accusa di essere la cerniera tra le cosche della ‘ndrangheta e la politica, nel cui studio legale di Roma al tempo collaborava come avvocato la moglie di Cisterna.
La pubblicazione di questo e di altri contatti intrattenuti da Cisterna mentre era vice procuratore nazionale antimafia, secondo quanto aveva denunciato, gli avrebbero arrecato “nocumento”. Tuttavia, come sostenuto nella memoria difensiva dell’avvocato Repici, “a ben leggere il contenuto del libro, tanto i contenuti dell’intervista, che le considerazioni dell’intervistatore, non riportano alcun dato personale del dottor Alberto Cisterna, trattandosi tutte di informazioni pubbliche, già ampiamente divulgate da fonti aperte”.
Inoltre, è stata sostenuta “la liceità della detenzione e del trattamento dei dati delle consulenze giudiziarie svolte, anche per adempiere alla numerose richieste che tutt’ora gli pervengono da parte di numerose autorità giudiziarie di tutta Italia”.
Cisterna non si era limitato a denunciare penalmente Gioacchino Genchi alla Procura di Palermo, bensì aveva anche presentato un esposto al Garante della Privacy che gli aveva inflitto una sanzione di 192 mila euro, annullata prima dalla sezione civile del Tribunale di Palermo e poi dalla Cassazione, che ha rigettato il ricorso del Garante e ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Palermo.
Nella sentenza gli “ermellini” dapprima rimarcano “la congenita debolezza dell’impianto istruttorio su cui si regge l’accusa mossa nei confronti del Genchi”. Un castello di accuse sciolto come neve al sole “non essendo stato effettivamente provato sulla scorta di «un’analisi tecnica approfondita» che il Genchi avesse trattato i dati in suo possesso per finalità estranee a quelle di giustizia in ragione delle quali ne era avvenuta l’acquisizione”.
La Cassazione, poi, approfondisce nel merito la questione: “avendo acquisito i dati in questione nel corso della sua attività di perito, il Genchi era esentato dall’osservare le norme dettate dal d.lgs. 196/2003 a tutela dei dati personali. E poiché d’altro canto non vi era prova che il Genchi avesse trattenuto e trattato i dati così acquisiti oltre i tempi richiesti dalle consulenze affidategli, nessun illecito era perciò al medesimo addebitabile”.
Nel corso del processo il Tribunale aveva pure disposto una superperizia, affidata all’ingegnere Mauro Manolo Belmonte e al dottor Luigi Bellanca, che ha integralmente riscontrato le argomentazioni difensive di Genchi, come detto già positivamente valutate dal Tribunale civile e dalla Corte di Cassazione, che hanno integralmente annullato la sanzione inflittagli nel 2016 dal Garante della Privacy.
Oggi la piena assoluzione anche in sede penale, con cui si chiude una vicenda che si trascina dal 2009, che ha visto alternare ben tre sezioni del Tribunale di Palermo e che conferma la totale correttezza dell’operato dell’ex consulente informatico Gioacchino Genchi, che ha agito solo secondo la legge per l’accertamento della verità.
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