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«Angelina nn ti ho detto nhente ma stasera partiamo per ricovero per camillo sai come e camillo nn vuole che si sa nn so quanto stiamo in settimana prossima ti chiamo per la fretta abiamo dimenticato anche i caricatori a presto risp». L’Sms del 27 marzo che alle 18,41 arriva sul Nokia 3310 di Angela Sacco è forse il lapsus freudiano più perfido di una storia atroce. È partito dal cellulare di sua sorella Maria Cecilia, quando però la donna era già stata uccisa a colpi di pistola insieme al marito Camillo Pane e ai figli Eugenio e Annamaria, nelle campagne di Caraffa; la loro auto lontana, alla stazione di Paola. A inviarglielo, fingendo di essere sua zia, è infatti il nipote, Claudio Tomaino, arrestato per la strage, che sperava così di far pensare che la famiglia sarebbe scomparsa nel nulla. Un futuro caso irrisolvibile per Chi l’ha visto? nello stile di Ferdinando Carretta, ma lasciando qualche traccia in più.
Pensava di poterselo permettere, Tomaino, dopo aver firmato a sangue un patto col diavolo, per uscirne impunito. Ma è proprio grazie a quell’Sms che avrebbe dovuto depistare tutti, in cui c’è la parola caricatori e non caricabatterie, che il diavolo ha, invece, cominciato a ingannare lui. Una presenza fissa, quella del male, e della maledizione, che prima di prendersela, girava da anni intorno a questa famiglia. Era sempre il 27 del mese, ma del luglio 1990, quando proprio Angela Sacco uccise a coltellate suo figlio di quattro anni. Fu giudicata inferma di mente e tornò a vivere con il marito. Irma Pane, sorella di Camillo, invece suo figlio lo perse quando ancora ce lo aveva in grembo nel 1996, in un brutto incidente stradale. E ora, lo sfondo buio sullo sterminio dei Pane è quello di una setta satanica. Una vicenda dannata, ancora piena di misteri, e scoperta per caso: da un contadino che ha sentito sparare e ha visto, seppur confusamente, scappare qualcuno dal casolare. Di certo, quando i carabinieri trovano i corpi sotto le lastre di eternit nessuno sa chi siano. Ed è solo grazie al telefonino che aveva addosso Camillo che si riesce a identificarli in fretta uno a uno. Su quel cellulare, infatti, i carabinieri notano che l’ultima chiamata è stata fatta alle 9,30 al nipote Claudio Tomaino. Il pm della Procura di Catanzaro, Salvatore Curcio, ne fa acquisire i tabulati. Così, se Tomaino ancora non risponde ai magistrati, da quel momento è il suo portatile a raccontare ciò che accadde. A dire la verità non solo il suo, anche quelli della zia e del cugino, spariti dal luogo della strage e usati dal nipote per organizzare la finta fuga familiare. A incastrarlo sono proprio i suoi contatti con il cugino e vittima Eugenio Pane: prima, ma anche dopo la strage, gli Sms e i messaggi wap lo indicano nella zona del delitto. Al vaglio degli inquirenti ci sono soprattutto gli spostamenti e i messaggini di Tomaino e degli zii, della mattina e della sera prima, così come alcune chiamate senza risposta ai familiari delle vittime, sempre prima e dopo il delitto.
Oggi Camillo, Anna, Eugenio e Maria Pane parlano attraverso tracciati analizzati in tempo record in una relazione di oltre 300 pagine dal superconsulente Gioacchino Genchi, tornato ad affiancare il colonnello dei carabinieri Francesco Iacono, in seguito alle indagini di Corleone, al Ros di Messina e a Trapani, per la scomparsa di Denise. Ed ecco che le indagini sul telefonino del nipote dicono che mentre partono i “messaggi della pantomima” ai parenti delle vittime, Tomaino è con il suo cellulare nello stesso luogo a inviare messaggi agli amici e alla fidanzata, Daniela Silipo, indagata per favoreggiamento.
Questa non è la storia di un giovane colto da raptus. Sotto c’è qualcosa di più. Ed è esattamente la ricerca del movente che fa pensare a verità inconfessabili: sette sataniche, rapporti morbosi e fortissime inquietudini, tanto che il sindaco di Decollatura (dove vivevano i Pane) avrebbe revocato il lutto cittadino su richiesta dei parenti delle vittime. E da giorni si cerca il motivo del massacro in un puzzle in cui entrano la pistola usata per uccidere e poi occultata, i vestiti macchiati di sangue, gli affari di Camillo Pane e le aste degli immobili, la spartizione dei suoi beni, il ruolo degli amici e chissà cos’altro. E si cerca di capire se i quattro sono finiti lì secondo il disegno di qualcuno che, probabilmente appoggiato da uno dei Pane, ha compiuto l’eccidio: il cadavere di Eugenio è stato sottoposto a esame per capire se prima di morire ha sparato. Si sospetta che pure Camillo appartenesse alla fantomatica setta satanica. La sola certezza, per ora, è che Tomaino non può aver fatto tutto da solo. Non poteva muoversi contemporaneamente con la sua auto e con quella degli zii, portata, come afferma il cellulare, sulla litoranea, a sud di Lamezia, costeggiando l’aeroporto fino a raggiungere la statale 18 e lì per un tratto parallelo all’autostrada, attraversando gli svincoli di Falerna, Amantea, Belmonte Calabro, Longobardi, San Lucido, fino alla stazione ferroviaria di Paola, dove si è concluso il primo atto della recita. Poi, la discesa in taxi a Lamezia dove Tomaino e altri si incontrano e su cui oggi proseguono le indagini della Procura. Al setaccio, per scoprire i complici, ci sono un milione di contatti telefonici della zona in cui i carabinieri verificano alibi e dichiarazioni di quanti hanno visto e sentito. Ma soprattutto di quanti hanno finto di non vedere e di non sapere. Quasi che la mattina del 27 marzo i Pane fossero andati a Tre Olivare di Caraffa per fare un picnic. Quasi che in questa strage annunciata non ci fossero né un movente, né un esecutore. I loro nomi, probabilmente, sono invece scritti nei bit di quei tracciati telefonici che il consulente della procura sta cercando di decifrare e nel muro di omertà che i carabinieri stanno cercando di abbattere. E presto, prestissimo, verranno fuori.
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