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Da esperto d’arte a narcotrafficante col pallino del riciclaggio il passo è breve. Dopo la condanna a cinque anni in primo grado, Simone Andreini (difeso da Gioacchino Genchi e Leonardo Bitti) è stato assolto dal reato continuato di riciclaggio «perché il fatto non sussiste», con restituzione integrale delle somme sequestrate. La Procura di Milano prende un sonoro schiaffone dal collegio della Quinta Sezione della Corte di Appello di Milano presieduto da Roberto Arnaldi, in uno dei filoni del processo Arkan su un traffico di droga tra l’Italia e l’Olanda.
Per la Procura Andreini avrebbe fatto disporre alla madre e alla sorella – a falso titolo di pagamento di opere d’arte – sei bonifici per un importo di 13.194 euro (ridicolo rispetto alle accuse) su un conto corrente intestato alla Art3035Gallery di Amsterdam, di proprietà di Andrea Deiana, allo scopo di riciclarli. In realtà nei 625 giorni passati al setaccio, Andreini aveva davvero comprato la litografia autografata di Banksy Il lanciatore di fiori (con tanto di certificato) e due opere d’arte di Keith Haring. Eppure i magistrati erano sicuri che l’uomo utilizzasse soldi non suoi ma i proventi del narcotraffico (teoricamente condotto dal gallerista Deiana), tanto che ne avevano chiesto il carcere e si erano dovuti accontentare dell’obbligo di presentazione giornaliero alla polizia giudiziaria, un’ingiusta restrizione della libertà che il malcapitato mercante d’arte ha scontato da innocente dal 15 maggio 2022 al 9 aprile 2024, quando gli è stata revocata su istanza di Genchi (nonostante il no del pm).
La Squadra Mobile di Milano aveva acquisito il contenuto di alcune chat della messaggistica criptata Sky Ecc, attribuendole a Andreini. La minuziosa controanalisi di Genchi – ex poliziotto esperto di intercettazioni, con alle spalle centinaia di processi – che Andreini era solo uno dei diversi utilizzatori dell’Id di Sky Ecc «LN7J9H», effettivamente utilizzato da altri soggetti (con almeno sei smartphone con codici IMEI diversi). Tanto che in passato altre sentenze hanno demolito l’attendibilità sulla reale identità degli autori delle messaggistiche criptate. «Gli inquirenti meneghini avrebbero dovuto richiedere alle Autorità francesi le chat complete di tutti gli Id, anche al fine di accertare il reale coinvolgimento e l’effettiva identità dei (sicuri) plurimi utilizzatori», dice Genchi al Giornale.
La sua tesi è stata pienamente accolta da Arnaldi, che qualche mese fa aveva assolto con le stesse motivazioni un altro soggetto, condannato a 16 anni per altri due presunti traffici di stupefacenti con Deiana, a sua volta difeso da Genchi e assolto in abbreviato.
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