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Catanzaro, era inventata la pista del satanismo

Svolta nell’inchiesta sulla famiglia uccisa

Corriere della Sera - 30 aprile 2006 - di Carlo Macrì

CATANZARO — Non ci sarebbe nessuna pista esoterica, dietro lo sterminio della famiglia Pane. Ma, soprattutto, la strage di Caraffa del 27 marzo scorso non sarebbe stata compiuta per un «sacrificio» imposto da una setta satanica della quale avrebbero fatto parte Claudio Tomaino, unico arrestato per la strage e il cugino Eugenio Pane, assassinato assieme al padre Camillo, alla madre Annamaria e alla sorella Maria nell’agguato di contrada Treolivare. Nelle conclusioni del consulente tecnico della Procura di Catanzaro, Gioacchino Genchi, quel famoso «patto col diavolo» — una sorta di contratto scritto su una specie di pergamena firmata con il sangue, a cui appunto si chiedeva il sacrifico dei Pane —, è stato creato da Tomaino al computer — sostiene il consulente — «in prossimità del suo arresto». Forse una mossa per crearsi un movente, per cercare di allontanare il vero motivo che ha portato all’assassinio della famiglia Pane. Un tentativo però mal riuscito, perché lo stesso Genchi attraverso l’esame dei tabulati telefonici ha potuto riscontrare i rapporti d’affari intercorsi tra l’infermiere Camillo Pane e alcuni personaggi che operano nella zona di Lamezia Terme.
Camillo Pane e il nipote mantenevano soprattutto rapporti d’affari. Da tempo, però, come emerge dalle indagini, i rapporti tra l’infermiere e alcuni personaggi legati alla ‘ndrangheta di Lamezia Terme, interessati all’acquisto di immobili, si erano incrinati. D’altronde, dall’inchiesta viene fuori che la decisione di uccidere l’infermiere era stata presa da tempo. Camillo Pane, infatti, ha cercato di vendere alcuni terreni a un noto esponente della ‘ndrangheta di Lamezia Terme. Una vendita che non è andata a buon fine, perché il boss ha scoperto che il venditore non era proprietario di quei beni. Eppure Camillo Pane era convinto di possederli. Almeno così gli ha fatto credere suo nipote Claudio Tomaino, che era anche il suo consulente finanziario. Il ruolo del nipote è di primissimo piano nella vicenda. Claudio Tomaino, infatti, almeno nell’ultimo anno — dice la perizia di Genchi — ha fatto credere allo zio di essere un possidente, attraverso una serie di atti e documenti che riusciva a falsificare al computer. Tomaino, poi, si serviva, per «legalizzare» questi atti, di un fantomatico avvocato Armando Manfredi di Catanzaro, in realtà mai esistito. Tutti i file che contenevano le bozze di questi documenti, che comprovavano una serie di truffe e di finte aste giudiziarie, sono stati cancellati da Tomaino prima dell’arresto. Una bonifica inutile perché Genchi è riuscito a trovarli, consegnando al pm Salvatore Curcio riferimenti, date, telefonate e sms che portano al movente della strage.