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La gogna è finita, indagate in pace. Sarà molto più difficile per i pm spiare i nostri cellulari con i trojan, con il rischio conclamato di creare prove false con cui infangare e screditare innocenti sui giornali compiacenti, perché servirà il sì di un giudice «vista la concentrazione di notizie che possono essere contenute in un cellulare», come aveva anticipato nei giorni scorsi il Guardasigilli Carlo Nordio. Con 89 sì, 18 voti contrari e 34 astenuti il Senato ha dato il via libera al disegno di legge che modifica il codice di procedura penale nella parte in cui disciplina il sequestro di dispositivi informatici. Alla Camera spetta il via libera definitivo. Con il centrodestra hanno votato i renziani, coerentemente con la loro storia garantista e con la sentenza della Consulta che ha dato ragione a Matteo Renzi sull’inchiesta legata alla Fondazione Open (ma non solo), imprimendo un nuovo orientamento giuridico sulla questione messaggini e trojan. Tanto che anche Pd e Verdi – sulla graticola per i miasmi giudiziari di Torino e Bari – hanno preferito una pilatesca astensione: «Siamo fiduciosi che un provvedimento così delicato possa e debba essere ancora migliorato nelle successive letture», è l’alibi del Nazareno. Con il loro «No» i Cinque stelle invece si confermano il baluardo parlamentare dei pm, con un divario con i teorici alleati democratici che si allarga ancora di più.
Il testo prevede una stretta ai pm sul sequestro dei telefonini, che ormai contengono la «vita intera» di una persona, come hanno sottolineato esponenti della maggioranza, su tutti Pierantonio Zanettin di Forza Italia, primo e principale estensore del principio per cui serve il controllo del giudice sull’attività di acquisizione dei dati disposta dai pubblici ministeri, a maggiore tutela della privacy dell’indagato e dei soggetti che sono terzi rispetto al procedimento ma che oggi si ritrovano vittime del fango e delle ipotesi investigative. «Giusto scartare ciò che attiene alla vita privata dei cittadini», osserva il senatore Fdi Costanzo Della Porta. «Il telefono cellulare è la scatola nera della vita di ciascuno di noi – sottolinea Zanettin – acquisirne in modo massivo i contenuti significa travolgere la privacy dell’indagato e di chi con lui interagisce. Ciò che non è penalmente rilevante deve rimanere segreto, non transitare nel fascicolo del dibattimento né tanto meno sulle pagine dei giornali», ribadisce il parlamentare azzurro al Giornale, sottolineando un episodio che lo riguarda: «Ancora oggi la mia chat Whatsapp con Luca Palamara, conosciuto quando eravamo entrambi al Csm, è online, senza alcuna rilevanza penale».
In ossequio alla presunzione d’innocenza, principio costituzionale che da Mani Pulite in avanti è stato ripetutamente calpestato, ci saranno maggiori garanzie nella fase dell’acquisizione dei dati. Sarà possibile consentire ai difensori e ai consulenti tecnici dell’indagato di partecipare alla duplicazione dei dati e di formulare critiche in via preliminare rispetto alla fase del processo. «È una legge attesa per troppo tempo», afferma il renziano Ivan Scalfarotto.
La norma stabilisce che solo le informazioni considerate rilevanti debbano finire nel fascicolo processuale e prevede, di fatto, che tutto ciò che equivale a vera e propria corrispondenza – come i carteggi mail e le conversazioni attraverso messaggi e WhatsApp – sia soggetto, per modalità di conservazione e di utilizzo – alle regole del codice che riguardano le più tradizionali intercettazioni. È quello che ha stabilito l’anno scorso la Corte costituzionale, accogliendo il conflitto di attribuzione sollevato dal Senato nei confronti della Procura di Firenze, che aveva illegittimamente acquisito – senza l’ok della Camera di appartenenza – le chat del senatore Matteo Renzi, in violazione dunque dell’articolo 68. Alcune recenti sentenze della Corte d’Appello di Milano (che hanno visto assolto l’ex superlatitante Vincenzo Amato, difeso dall’avvocato Gioacchino Genchi) e della sesta sezione penale della Cassazione (caso Bruno Iaria) hanno esteso il divieto di acquisizione di alcune chat senza un preliminare ok del giudice anche alla messaggistica acquisita da Interpol e polizie internazionali, capaci di violare il sistema di criptazione Sky ECC, Encrichat e similari, tecnologia in uso ai narcotrafficanti spesso legati alla ‘ndrangheta.
«La maggioranza ostacola e imbriglia in tutti i modi i poteri di indagine della magistratura nei confronti dei reati dei colletti bianchi e dei malintenzionati», sibila il senatore M5s Roberto Scarpinato, che si becca la replica di Renzi: «Il termine malintenzionati è il frutto di un giustizialismo ontologico».
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