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Omicidio Gambacorta, un nuovo fermo. Favarese viene «incastrato» da tre sms

La svolta nelle indagini avviene a marzo quando Giuseppa Attardo ritratta la confessione: non ho sparato io, ma non fa nomi. Incalzata dalle indagini racconta al pm la nuova verità

Giornale di Sicilia - 14 luglio 2006 - di Alfonso Bugea

Se mai dovesse capitarvi la sventura di avere un’amante usate almeno un accorgimento essenziale: non inviatele mai sms, perché non è vero che non lasciano traccia. La lasciano, eccome.

Ne sa qualcosa Calogero Arnone, classe 1964, gestore del supermercato «Max» a Favara. Da ieri è in stato di fermo con l’accusa di concorso in omicidio per aver, per l’appunto, causato la morte di Francesco Gambacorta. I due, secondo la Procura, avevano una donna in comune: Giuseppa Attardo. Se la contendevano dall’estate del 2004, quando la Attardo stava iniziando una nuova storia d’amore, lasciandosi alle spalle quella oramai decennale con Francesco Gambacorta. Ed è iniziato un triangolo «micidiale», perché inevitabilmente uno di loro era diventato di troppo. Così secondo l’accusa, Giuseppa Attardo ed i sui due amanti si ritrovarono la sera del 26 gennaio scorso per un incontro chiarificatore, risolutivo.

Le parole non sarebbero bastate: ci fu anche una colluttazione ed improvvisamente si sentì la voce di Arnone coperta da due spari che colpirono alla testa Gambacorta, venditore di auto usate.

Le indagini partirono in cerca di un movente. L’attenzione dei carabinieri inizialmente venne attratta da un episodio di violenza che era accaduto pochi giorni prima a Francesco Gambacorta, affrontato ed aggredito da alcune persone. Poi iniziarono a percorrere la pista passionale. Prima tappa di questo nuovo percorso fu una certa Maria. Interrogata cancellò in un baleno le ombre che erano calate su di lei. Non era l’amante, ma da lei i carabinieri ebbero una indicazione precisa perché fornì il nome ed un indizio preciso sulla donna che con Gambacorta aveva da anni una relazione: una certa Giusy, col padre ucciso dieci anni fa.

Ai carabinieri non venne difficile risalire a Giuseppina Attardo, il cui genitore, Giovanni, venne assassinato il 7 luglio del 1996.

Convocata in caserma la donna stranamente non cercò di difendersi. E superato un momento di indecisione il 3 febbraio scorso innanzi ai carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Agrigento diventò un fiume in piena autoaccusandosi del delitto, spiegando che aveva conosciuto il Gambacorta. Era un vicino di casa diventato premuroso nei suoi confronti dopo la tragica morte del suo fidanzato. Raccontò che iniziarono a frequentarsi e che di solito si appartavano nei pressi della diga San Giovanni di Naro. Raccontò anche che la relazione col Gambacorta era diventata un’ossessione e che avrebbe voluto interromperla. Disse anche che lui, invece, non ne voleva sentir parlare in nessun modo di lasciarla, assumendo anzi un atteggiamento ”padronale” nei suoi confronti.

Così raccontò che quella tragica sera all’incontro chiarificatore ci andò armata e visto che la discussione si faceva inconcludente premette il grilletto e sparò due colpi che freddarono l’amante. Ma disse che non capì subito di essere diventata un’assassina. Ai carabinieri dichiarò che poche ore dopo chiamò Francesco Gambacorta al telefonino, ovviamente senza ricevere risposta.

E l’arma? Dov’è? Rispose di essersene disfatta gettandola in un cassonetto. La pistola, però, non è stata mai trovata ed inutili si sono rivelate le ricerche che i militari dell’Arma a più riprese hanno fatto nella discarica.

Ricostruzione perfetta. Ma i sospetti che al momento dell’omicidio non fosse sola sono sempre rimasti tutti in piedi. Fino alla data del 27 marzo del 2006 quando interrogata, ancora una volta in carcere, ritratta le vecchie dichiarazioni messe a verbale ed ammette non sono stata io a sparare. Ma non fa nomi.

Inizia la verifica. Si scopre che il giorno stesso dell’omicidio il suo telefonino è stato impegnato in conversazioni con l’utenza di Calogero Arnone.

Sentita nuovamente dai carabinieri la Attardo esclude con decisione l’esistenza di una relazione sentimentale con lui. Ma la verifica va avanti. I carabinieri scoprono anche che l’Arnone quasi certamente non era nel supermercato nel pomeriggio del giorno dell’agguato. Lo dicono i dipendenti che precisano che avrebbe potuto essere nel magazzino dal quale, però, si può uscire senza essere visti.

Il pm a quel quel punto da l’incarico al superperito Gioacchino Genchi. Viene messo a soqquadro tutta l’attività telefonica ed il traffico dei cellulari dei due indagati compresi i codici Imei. Si scopre che Arnone e la Attardo si parlano, eccome. Anche nelle ore notturne, e si mandano messaggi. Tre in particolare assumono valore probatorio inviati tutti e tre nel settembre del 2005. Il contenuto sarebbe la prova del forte legame sentimentale tra i due indagati, ma dimostrano – a dire del pm – anche l’astio nutrito da Arnone nei confronti di Gambacorta.

Giuseppa Attardo viene nuovamente sentita dal pm Luca Sciarretta. È l’11 luglio scorso.Questa volta la donna ammette la relazione con Arnone. Va oltre, lo accusa dell’omicidio: ora dice che ha sparato lui dopo una colluttazione buttando poi la pistola in un cassonetto.

Le indagini vanno avanti. Vengono ancora una volta sentiti i dipendenti del supermercato, dove la donna è stata vista più volte negli uffici di Arnone. Il convincimento che la donna non abbia agito da sola resta alto, ora viene vista con sospetto la celerità con la quale la donna ha confessato. Si riguardano i tabulati telefonici e gli interrogatori resi.

Ad inchiodare Arnone c’è anche il suo immediato ricovero in ospedale avvenuto – si dice – subito dopo aver appreso dai telegiornali la notizia che l’amante è stata tratta in arresto.

L’uomo viene portato al San Giovanni di Dio e sottoposto a controlli sanitari.Era il 3 febbraio scorso.

Cinque mesi dopo è finito in carcere, incastrato da tre sms, galeotti più che mai.

 

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