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Non stuprò la vicina, forestale di Castelbuono assolto

Fine di un calvario per l’uomo, in primo grado erano stati chiesti 15 anni

Giornale di Sicilia - 5 giugno 2020 - di Silvia Buffa

«Non ci fu nessuno stupro». Questa la conclusione cui è giunta la terza sezione della Corte d’appello di Palermo, presieduta da Antonio Napoli, che ha assolto con formula piena il 58enne di Castelbuono Vincenzo Barbarotto, ispettore del Corpo forestale, accusato di violenza sessuale plurima e sequestro di persona.
 
Il giudice ha rigettato infatti l’appello della parte civile, confermando integralmente la sentenza di primo grado del Gup del tribunale di Termini Imerese Stefania Gallì, che nel 2018 in abbreviato lo aveva assolto a fronte di una richiesta di condanna a 15 anni. Né la Procura di Termini, né la Procura generale di Palermo avevano impugnato la sentenza di assoluzione di Barbarotto, che è passata in giudicato agli effetti penali.
 
I fatti risalgono al settembre del 2014: ad accusare Barbarotto è una sua vicina di casa. Secondo il racconto della donna, l’uomo l’avrebbe attirata dentro a un magazzino di Castelbuono, dove l’avrebbe rinchiusa per abusare di lei. A smontare il castello di accuse è stato l’avvocato dell’imputato, Gioacchino Genchi, impegnato in complesse indagini difensive, concentrate soprattutto sulle oltre 300 intercettazioni trascritte e sull’analisi delle celle telefoniche. Muovendo innanzitutto da una domanda: perché inventare un racconto simile? L’accusa che piomba addosso a Barbarotto, molto noto nella comunità anche per le sue attività teatrali, musicali e di volontariato, è delle peggiori.
 
Per l’avvocato Genchi non sarebbe stata altro che una «strategia per fotterlo», per usare una frase intercettata tra la presunta vittima e un’amica, all’epoca praticante avvocato, che le avrebbe suggerito come incastrare Barbarotto. L’idea era quella di inviargli alcuni messaggi per indurlo a scusarsi di qualcosa. Un episodio che la donna sperava di poter manipolare ai fini delle sue accuse.
 
Le intercettazioni fornirebbero anche le ragioni che l’avrebbero spinta ad architettare tutto: vendicarsi per la mancata concessione di un piccolo prestito, che poi la donna avrebbe preteso le fosse concesso dalla banca dove lavorava il fratello dell’uomo. Una vendetta nella quale avrebbe coinvolto anche il compagno, un’amica e i suoi famigliari, convinti ad aiutarla. Per lei avrebbero inscenato danneggiamenti alle serrature di casa e alle autovetture, arrivando persino a mentire alle autorità sul giorno dello stupro. Una data che la stessa presunta vittima ha cambiato, anche a processo in corso, ogni volta che una sua versione veniva smentita dalle celle telefoniche dell’imputato, che lo collocavano in posti molto lontani rispetto a quello indicato da lei come teatro della violenza.
 
Tra le conversazioni intercettate ce n’è anche una in cui la presunta vittima sosteneva che pure un maresciallo dei carabinieri, presentatosi a casa sua per notificarle un atto relativo ad un’altra inchiesta, avrebbe cercato di violentarla. Il militare in seguito è stato anche lui pienamente scagionato. Un episodio sul quale la difesa di Barbarotto ha puntato per sottolineare l’inattendibilità dell’accusatrice. Che in passato, infatti, aveva presentato innumerevoli analoghe denunce.
 
Alla luce dell’attività difensiva e dei riscontri sulla personalità della donna, l’avvocato Genchi ha chiesto la trasmissione degli atti alla Procura di Termini Imerese per valutare l’ipotesi di calunnia da parte della donna – che rischia così di passare da accusatrice ad accusata -, oltre che per il reato di favoreggiamento nei confronti della madre, della figlia e dell’amica, nel frattempo diventata avvocato. Su questi nuovi elementi, a breve, si dovrà pronunciare il gip di Termini Claudio Bencivinni.