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MAFIA: CACCIA INFORMATICA AL TESORO DI PROVENZANO

Ansa - 3 ottobre 2002 - di Giuseppe Lo Bianco

PALERMO – Quelle vetrine luccicanti nel salotto buono di Palermo con gli ultimi modelli di cellulari esposti accanto a modellini Ferrari, in realtà erano di Bernardo Provenzano, il boss dei boss, latitante da 40 anni. E’ suo, infatti, l’immobile di centinaia di metri quadri in via Principe di Belmonte, affittato ad una società di informatica attraverso un prestanome, che ospita uno dei centri di assistenza e vendita al dettaglio più noti della città.

Lo ha scoperto Gioacchino Genchi, il superpoliziotto consulente informatico della Procura di Palermo, scavando tra i segreti depositati nei computer di Pino Lipari, gestore del patrimonio occulto del capo di Cosa Nostra. E i locali di via Belmonte sono solo il primo, visibile, risultato, di un’indagine che si annuncia sorprendente, visto che tra i file recuperati da Genchi ve sono numerosi in attesa di una decodifica.

La caccia al patrimonio di Provenzano parte dal sequestro di alcuni computer di Lipari, e di un centinaio di cd rom e floppy disk. I pm chiamano Genchi e gli sottopongono un lungo ed articolato quesito che si riassume così: scopra tutto ciò che c’è da scoprire. Il poliziotto si mette al lavoro e si imbatte subito nelle prevedibili cautele adottate da Lipari: l’anziano ex geometra dell’Anas, infatti, non salva i documenti editati ne’ sull’hard disk, ne’ su floppy disk. Inoltre, e non a caso, utilizza computer, sistemi operativi e software della MacIntosh, che meno si prestano al recupero dei dati cancellati.

Nonostante ciò il primo esame porta a galla migliaia di file: ci sono riferimenti a nomi, imprenditori, appalti, patrimoni, ma nulla di nuovo rispetto a quanto già le indagini non avessero già accertato. Genchi non si scoraggia e avvia la seconda fase. Vengono esaminati e recuperati altre migliaia di file nascosti e cancellati. Ma anche da questo esame nessun risultato. La svolta arriva da un cambio di rotta. Il consulente abbandona per un attimo i file e si concentra allora sulla ‘modale comportamentale’ di Pino Lipari nell’uso del computer, la filosofia informatica di approccio dell’utente indagato. E’ a questo punto che Genchi scopre che in uno dei floppy disk sequestrati, formattato più volte, ci sono le tracce sparse di alcuni bite che fra tanti geroglifici e caratteri incomprensibili racchiudono la sequenza di uno spool di stampa.

Sono, cioè, resti mascherati di quello che rimane sul supporto magnetico dopo la stampa di un file che si è editato col computer ma che si è prudentemente deciso di non salvare. I bite vengono messi insieme uno per uno, viene ricostruito l’algoritmo di ricomposizione e di conversione dei caratteri ed è così possibile leggere integralmente il contenuto delle annotazioni di Pino Lipari, in una missiva in cui rendicontava a Provenzano i proventi degli incassi di alcuni affitti, eseguiti da uno dei tanti prestanomi chiamato ‘Filippo’.

Ecco, dunque, il patrimonio del capo di Cosa Nostra. Si scopre, così, che il boss dei boss sui suoi immobili pagava regolarmente le tasse: fra le spese vengono pure indicate l’Ici, gli acconti ed i saldi dell’Irpef ed altre imposte locali sugli immobili, che ‘Filippo’ ha dovuto sostenere a proprio nome sui beni di Provenzano. Con dovizia di particolari, inoltre, vengono inserite tutte le poste attive e passive, i ticket e le spese, proprio come si addice ad un vero e proprio libro mastro di un’agenzia immobiliare.

A questo punto l’indagine è ad una svolta. Gli investigatori della squadra mobile sanno già chi e’ Filippo. In diverse intercettazioni si parla ‘degli affitti di Belmonte’, e le indagini si concentrano sugli immobili di Belmonte Mezzagno, a cinquanta chilometri da Palermo. Ma nessuna delle case di paese poteva garantire redditi e canoni di locazione così elevati.

Si cambia di nuovo rotta e negli uffici finanziari gli investigatori vanno a cercare la denuncia dei redditi e la dichiarazione Ici di Filippo Lombardo, sul quale pesavano non pochi sospetti dopo che il suo nome era venuto fuori da alcune intercettazioni telefoniche. Il gioco è fatto: nelle partite catastali è annotato anche il lussuoso negozio nel centro di Via Principe di Belmonte, da diversi anni affittato alla Tim.

L’indagine, comunque, non finisce qui, numerosi altri file sono in attesa di una decodifica, e gli elementi acquisiti su Pino Lipari e sui favoreggiatori di Provenzano confluiscono nelle indagini sulle dichiarazioni del neo pentito Nino Giuffrè, numero 2 della prima rossa corleonese. (ANSA)