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Il 4 ottobre va in scena un dialogo degno della sceneggiatura di un film. Carmelo Miano, l’hacker che è riuscito a entrare nelle procure di mezza Italia e dentro il ministero di Giustizia, assistito dal suo avvocato, Gioacchino Genchi, è di fronte al gip di Napoli per il suo interrogatorio di garanzia, al quale sono presenti i pm Onorati e Cozza. A indagare su di lui, nella Procura guidata da Nicola Gratteri, c’è anche l’aggiunto Vincenzo Piscitelli. Che Miano avesse hackerato gli atti di indagine che lo riguardavano era noto. Quel che non si sapeva, e che Miano confessa alla Procura, riguarda invece Piscitelli, la pm Maria Sofia Cozza e il procuratore Gratteri: ammette di fatto l’accesso alle loro caselle email istituzionali. Per quanto riguarda Gratteri, aggiunge che la password era piuttosto debole, ovvero il nome di una città capoluogo di provincia della Calabria, seguite dalla data di una ricorrenza. Se non bastasse ha specificato che Gratteri ha fatto nel tempo un uso scarso del proprio account prediligendo altri sistemi – in maniera quindi oculata e prudente – nella trasmissione di informazioni che riguardavano le indagini. “Non ho trovato nulla di interessante”, ha spiegato Miano, facendo riferimento al contenuto delle email, che spesso riguardavano circolari ministeriali o richieste di interviste.
Nel caso di Piscitelli e Cozza ha invece estratto numerosi atti che riguardavano i suoi procedimenti penali. Dalla email del pm napoletano Claudio Onorati, il più bersagliato in assoluto, ha invece scaricato e copiato una cartella di circa 7 GB. Il difensore, anche sulla base di questi elementi, ha eccepito l’incompetenza della Procura napoletana, rigettata però dal tribunale, che obietta: “Le violazioni del dominio @giustizia.it da parte dell’indagato sono state plurime e tuttora non è acquisito il completo spettro delle stesse stanti gli accertamenti in corso”. In sostanza, per ora è solo Miano a parlare di questi accessi, ma negli atti non vi è traccia, quindi l’indag ine resta lì dov’è.
C’è però un altro passaggio interessante: Genchi aveva chiesto di trasferire tutto alla Procura di Perugia, poiché l’hacker era entrato nelle email di diversi magistrati romani, e quindi la competenza spetterebbe ai magistrati umbri. Qui la risposta del gip è esplosiva: Perugia non può indagare perché “nell ’ampio perimetro delle violazioni del dominio postale @giustizia.it rientrano anche i magistrati di Perugia, ivi compreso il Procuratore”, ovvero il procuratore capo Raffaele Cantone. E qui la faccenda diventa davvero interessante. Perché a sua volta Genchi replica che non risulta sia mai stato accertato da parte di Miano alcun accesso alle caselle di posta elettronica istituzionale dei magistrati di Perugia. Anche perché, siccome Perugia non indagava su di lui, non aveva interesse a farlo. Il punto sta tutto nella parola “password ” e nelle informative della polizia postale: “Miano deteneva in chiaro le password utilizzate da 21 magistrati, su 24 selezionati, della Procura di Firenze, di dieci magistrati su 14 selezionati della Procura di Perugia (tra cui quella del Procuratore capo), di 15 magistrati su 19 selezionati della Procura di Torino.
Tra i 46 magistrati indicati in totale, oltre a Cantone, possiamo menzionare il procuratore capo di Firenze Filippo Spiezia, dell’aggiunto Luca Turco e del sostituto Antonino Nastasi, del Procuratore capo di Prato Luca Tescaroli, di quello di Torino Giovanni Bombardierie del suo aggiunto Marco Gianoglio. Non a caso il gip scrive che Miano “ha prelevato dai sistemi della rete del ministero di Giustizia il database relativo a tutti gli utenti di dominio (inclusi, ma non solo), i magistrati di tutta Italia, contenente username con relative password”.
La Procura è peraltro convinta che Miano non abbia agito, come ha finora sostenuto, soltanto per conoscere i fascicoli d’indagine che lo riguardavano: “Il possesso di documenti relativi all’architettura informatica di infrastrutture della Gdf e della Polizia di Stato; gli accessi abusivi ai sistemi telematici di uffici di Polizia di Stato – che nulla hanno a che fare con le indagini sull’indagato – appaiono elementi oggettivi che stridono con le dichiarazioni e con la versione sostenuta da Miano nell’interrogatorio”. Sospetto rafforzato dal “possesso di wallet contenenti criptovalute convertite per alcuni milioni di euro, che lasciano intravedere finalità di profitto connesse agli accessi e alle gestioni di dati, e che allo stato non possono far escludere l’esistenza di committenti o destinatari di dati e documenti sensibili esfiltrati”. Sospetto più che legittimo. Sotto il profilo economico, però, Genchi spiega che Miano tra il 2023 e il 2024, ha fatturato per prestazioni di servizi legate all’informatica ben 460 mila euro.
Ieri la Procura di Napoli ha annunciato la separazione degli atti, per la loro trasmissione agli uffici inquirenti competenti, proprio in relazione alla violazione delle email dei magistrati che appartengono a diverse procure italiane. E hanno ribadito la contrarietà alla richiesta di trasferire Miano dal carcere ai domiciliari.
Genchi, in udienza, ha invece dichiarato: “La sicurezza dei sistemi informatici del ministero della Giustizia è inquietante”. Poi ha aggiunto: “Spero di sbagliarmi, ma ho quasi la sensazione che le porte del sistema informatico che Miano ha utilizzato siano state lasciate aperte per altre incursioni, molto più gravi e preoccupanti di quelle che ha commesso”. E ancora: “Tutta la posta dei magistrati italiani era alla sua mercé, e non aveva neppure compiuto 20 anni quando ha fatto accesso alle caselle di posta dove vengono trasmesse tutte le notizie di reato, gli ordini di fermo, le misure cautelari, i decreti di intercettazione di tutte le procure e le Dda d’Italia. Se Miano fosse stato un criminale avrebbe potuto mandare veramente in tilt il sistema Giustizia. Ma non l’ha fatto: gli unici dati che ha visto sono quelli che lo riguardano, ossessionato e preoccupato com’era delle indagini sul suo conto”.
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