CONTATTA LO STUDIO
Pbx con ricerca automatica: 0692959901

Le bugie della Boccassini. Un riservato documento inedito lo conferma

Comunicato stampa - 21 febbraio 2020 - di Gioacchino Genchi
Ilda Boccassini

“Non avevo alcuna fiducia in Gioacchino Genchi. Il suo apporto nelle indagini era stato praticamente nullo, era una persona pericolosa”. Queste quanto riferito da Ilda Boccassini, ex procuratore aggiunto di Milano, da poco in pensione, al processo sul depistaggio dell’inchiesta sulla strage di via D’Amelio.

 
Gioacchino Genchi

La p.m. Boccassini, però, non nutriva gli stessi sentimenti nei confronti del dottor Genchi nel 1992 e fino al 25 maggio 1993, quando dopo averlo incaricato di svolgere le indagini più riservate sulle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, inveì per la sua improvvisa decisione di lasciare il gruppo di indagini per asserite “ragioni di sicurezza”, come La Barbera aveva dato a credere ai magistrati di Caltanissetta, che di contro hanno ritenuto di chiedere conto a Genchi delle sue decisioni solo 16 anni dopo, agli inizi del 2009, con una audizione che è stata la vera causa della sua strumentale “sospensione” dal servizio e della sua successiva destituzione dalla Polizia di Stato, proprio per avere riferito nel corso di un pubblico convegno dei depistaggi di Arnaldo La Barbera e dei vertici del Ministero dell’Interno dell’epoca sulle stragi del 1992.

 
I crateri causati dalla strage di Capaci

Facciamo un passo indietro nel tempo. I primi giorni dell’ottobre del 1992 sembrano decisivi per risolvere il rebus delle stragi: su via D’Amelio, Genchi aveva contribuito ad individuare l’intercettazione a casa della sorella di Borsellino e pensava di aver scovato il telefonista, Pietro Scotto. 

 

Quanto a Capaci, ci sono i contenuti delle agende elettroniche di Giovanni Falcone, con l’annotazione del viaggio in America alla fine di aprile del 1992.

 

Non appena la consulenza viene depositata, nonostante le pressioni per non farlo, i “ringraziamenti” a Genchi per il recupero dei dati non mancano: gli vengono revocati i due incarichi. E viene trasferito dalla direzione della Zona Telecomunicazioni per la Sicilia Occidentale e dal Nucleo Anticrimine, che per volontà del Capo della Polizia Parisi congiuntamente dirigeva da alcuni giorni prima della strage di Via D’Amelio, all’XI Reparto Mobile di Palermo, per occuparsi di manifestazioni e cortei. Dalle stragi agli stadi, in un lampo.

 
Arnaldo La Barbera

Il questore di Palermo Matteo Cinque – Genchi si rifiuterà di salutarlo con la sciabola durante una parata, sapendo del suo arresto che sarebbe stato eseguito alcuni giorni dopo – gli prospetta “necessari provvedimenti di autotutela”, e gli assegna una scorta di 1° livello con due macchine blindate. Il primo passaggio per giustificare il futuro trasferimento. Genchi rinuncia e rifiuta decisamente e rintuzza con una lunga lettera e continua ad usare la sua Fiat Uno, muovendosi da solo e pure disarmato, come aveva sempre fatto prima, senza però abbandonare la sua vera e unica arma di difesa: il computer.

 

È chiaro, quindi, che Genchi non aveva nessuna paura a fare il suo lavoro, come La Barbera aveva voluto far credere nel maggio del 1993 ai magistrati di Caltanissetta che non hanno ritenuto nemmeno di chiedere conto a Genchi sulle effettive ragioni del suo volontario e repentino abbandono del gruppo di indagini sulle stragi, dopo l’epico scontro con Arnaldo La Barbera, protrattosi per tutta la notte dei giorni fra il 4 e il 5 maggio 1993.

 

Eppure, Arnaldo La Barbera diffonde la voce che Genchi aveva abbandonato le indagini sulle stragi perché temeva per la sua sicurezza.

 

Ma, privata del poliziotto su cui fa perno l’inchiesta, i magistrati di Caltanissetta titolari delle indagini, Fausto Cardella e Ilda Boccassini, puntano i piedi. Prendono carta e penna, e scrivono al procuratore Giovanni Tinebra.

 

Agli atti della Procura di Caltanissetta, infatti, è stato depositato un documento riservato che sbugiarda Ilda Boccassini su tutta la linea.

 

Dopo la sua sua deposizione è giusto che gli italiani abbiano piena cognizione di quel reperto documentale di ineguagliabile valore che smentisce le falsità dichiarate da Ilda Boccassini ai giudici di Caltanissetta. 

 

Così scriveva la pm milanese e al suo procuratore:  

La parte più complessa e delicata di tale attività investigativa era stata affidata al dr. Gioacchino Genchi che appariva idoneo per le sue specifiche conoscenze tecniche e per la sua competenza nel settore della telefonia, si legge all’inizio.

 

Poi l’affondo finale:Ha sorpreso, quindi, molto sorpreso il fatto che, pochi giorni orsono, il dott. Genchi abbia improvvisamente deciso di non collaborare più alle indagini, secondo quanto riferisce il dr. A. La Barbera, adducendo giustificazioni generiche e non del tutto convincenti.

 

Quindi Genchi ha volontariamente abbandonato il gruppo di indagini sulle stragi e non è vero che è stato “cacciato”, come la Boccassini ha cercato di accreditare in più occasioni negli ultimi 20 anni.

 

E fu così che si arrivò al gruppo d’indagine Falcone-Borsellino, una soluzione posticcia per mettere una pezza al trasferimento di Gioacchino Genchi e lasciare indisturbato ad Arnaldo La Barbera il pieno controllo delle indagini. E non ce ne sarebbe stato alcun bisogno visto che la polizia aveva già valide strutture, come la squadra mobile, la Criminalpol e lo Sco, che potevano proseguire il lavoro con la stessa tenacia con cui lo avevano intrapreso.

 

Poi, la collaborazione del falso pentito Vincenzo Scarantino, l’uscita definitiva di Gioacchino Genchi dal gruppo Falcone-Borsellino sbattendo la porta dell’ufficio di La Barbera, ormai fa parte della tragica storia di questo Paese.

 

Accreditato dallo stretto rapporto personale e professionale che Arnaldo La Barbera aveva instaurato con Ilda Boccassini, intrapreso l’abile depistaggio delle indagini, a La Barbera è stato facile condizionare l’agire e l’operare dei magistrati che a Ilda Boccassini (e Fausto Cardella) si sono succeduti nella conduzione di quelle indagini, condizionando e subornando gli esiti dei processi, con lo scopo – si badi bene – di fare condannare degli innocenti per non cercare e tenere nascosti i reali autori e i mandanti di quelle stragi.

 

Questo è l’aspetto più eversivo di quella vicenda, del quale Arnaldo La Barbera non è stato l’unico ed esclusivo protagonista, posto che sugli esiti di quelle indagini si sono fondate le carriere dei capi della Polizia che dopo Fernando Masone e prima di Franco Gabrielli si sono succeduti ai vertici del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. 

 

Vero è che Ilda Boccassini, in più occasioni, ha invitato e diffidato i suoi colleghi della Procura di Milano a diffidare di me e a non affidarmi degli incarichi.

 

È vero pure, però, che molti magistrati della Procura di Milano, che hanno dimostrato di fidarsi più di me che della collega Boccassini, mi hanno affidato numerosissimi incarichi in vari processi di criminalità organizzata e di stampo mafioso, di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, armi, per reati contro la pubblica amministrazione e reati fiscali.

 

Fra questi la consulenza tecnica nel processo per frode fiscale che ha portato alla condanna in via definitiva di Silvio Berlusconi, che ne ha anche determinato la decadenza da Senatore della Repubblica, a differenza dei processi istruiti a carico di Silvio Berlusconi da Ilda Boccassini, dai quali è stato sempre assolto e che hanno contribuito alla sua martirizzazione, al punto da conservare ancora lo status di leader di una forza politica, che con il pensionamento della Boccassini prevedo vada in estinzione, per “cessazione della materia del contendere”.

 

Quanto alla storia dell’ “archivio” dei tabulati, la Boccassini ha ripreso un tema tirato in ballo da altri suoi illustri colleghi, fra i quali l’ex procuratore aggiunto della Procura Nazionale antimafia Alberto Cisterna ed altri magistrati e politici calabresi, primo fra tutti l’ex senatore Giancarlo Pittelli, che leggerà questo post dal carcere di Nuoro.

 

I tabulati che io ho acquisito ed elaborato come consulente tecnico dei pubblici ministeri sono sempre rimasti a disposizione dei magistrati che li avevano acquisiti ed utilizzati nei processi.

 

La mia attività è diventata sospetta e “criminale” (secondo alcuni, fra cui la Boccassini) solo quando io ho iniziato a svolgere delle indagini su dei magistrati calabresi, che ho trovato in combutta con dei mafiosi, con degli affaristi e con dei politici.

 

Una recente sentenza del Tribunale di Palermo ha annullato la sanzione che il Garante della privacy mi aveva inflitto, mettendo la parola fine a questo ritornello dell’ “archivio”, anche sul quale Ilda Boccassini ha perso una ulteriore occasione per stare zitta.

 

Avendola conosciuta bene, la cosa non mi sorprende affatto, posto che non è stata la prima volta e sono certo che non sarà l’ultima.