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«La rete informatica del ministero della Giustizia è potenzialmente compromessa nella sua totalità e tuttora pienamente permeabile agli attacchi hacker». Qualcuno citofoni al Guardasigilli Carlo Nordio, sarebbe meglio se in via Arenula qualcuno si leggesse la richiesta di custodia cautelare di 175 pagine firmata dai pm napoletani Claudio Onorati e Maria Sofia Cozza che ha convinto il gip a sbattere in cella Carmelo Miano, pirata informatico classe 2000 da Sciacca, difeso da Gioacchino Genchi (nella foto) che lo segue dal 2021. Dal pc di casa sua, tra un video e una criptovaluta, questo millennial ha messo sotto scacco la sicurezza del nostro Paese. Non bastano i miasmi del dossieraggio su cui indaga la Procura di Perugia, da queste carte emerge uno spaccato devastante. «Gli accessi indiscriminati e assai agevoli alle pec delle notizie di reato, a quelle relative alle intercettazioni, alle email personali (istituzionali) dei pm e dei giudici di varie procure (Brescia, Roma, Napoli, Palermo e Gela), pongono problemi sulla reale competenze territoriale che non può essere Napoli, coi pm vittime anche loro delle incursioni e degli accessi privati alle caselle di posta elettronica», spiega al Giornale l’ex superpoliziotto esperto di informatica Genchi, che oggi sarà a a Regina Coeli per l’interrogatorio di garanzia.
Da anni Miano gioca virtualmente a carte coperte con lo Stato, qualche volta avendo anche ragione visto che a Gela un giudice ha deciso la restituzione degli originali di alcuni suoi hard disk sequestrati. Ci sono però reati gravissimi come il presunto riciclaggio dietro a 5 milioni di euro in criptovalute di cui il ragazzo dovrà rispondere. «Sulle cripto confidavo nell’assoluzione ma ben oltre la obiettiva gravità delle condotte, che vanno certamente chiarite e ricondotte alle loro finalità – ribadisce Genchi – l’inchiesta ha fatto emergere una situazione allarmante di grave vulnerabilità dei sistemi informatici della Giustizia, della Guardia di Finanza, del ministero dell’Interno e di varie società, come la Tim, che operano per conto di infrastrutture istituzionali importanti». E qui Genchi si ricorda del suo passato da ex poliziotto e direttore di un centro elettronico del ministero dell’Interno: «Il quadro è veramente preoccupante. Certi sistemi informatici sembrano più assomigliare a un colabrodo per i tortellini, non si possono gestire così dati e informazioni sensibili come le indagini giudiziari, anche di altri apparati istituzionali della Repubblica». Qualcuno dice che gli hacker che profanano la cyber sicurezza e si fanno beffe della nostra intelligence meriterebbero un encomio.
E Genchi sorride: «Se Carmelo Miano avesse operato al soldo di terroristi o mafiosi avrebbe potuto mettere sotto scacco la Repubblica». A chi finirà la patata bollente? «Temo che alla fine toccherà a Raffaele Cantone», è la previsione del legale dell’hacker. Qualcuno citofoni anche a lui.
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