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Genchi non diffamò Saladino

Il Moralista - 15 luglio 2012 - di Francesco Maria Toscano

Ai tempi del processo “Why Not”, Antonio Saladino, uomo di punta della Compagnia delle Opere in Calabria, conobbe una probabilmente non richiesta notorietà. Individuato come elemento centrale di una inchiesta che non “s’aveva da fare”, Saladino finì sotto la luce abbagliante dei riflettori.

 

Memorabile la sua espressione di stupore immortalata dalle telecamere di Annozero durante una delle tante puntate dedicate al caso in oggetto. Tutta la stampa progressista, illuminista, disinteressata e garantista, ricorderete, fece a gara nel colpire un’inchiesta che toccava le sfere più alte del potere italiano.

 

Perfino il presidente della Repubblica Napolitano intervenne, tra un monito e l’altro, per richiedere gli atti alla Procura di Salerno che indagava su quella di Catanzaro ipotizzando violazioni circa la procedura di avocazione del fascicolo processuale “Why Not”.

 

Anche quel procedimento, in pochi lo ricordano, lambiva l’onnipresente figura di Nicola Mancino che, riferiva la testimone Caterina Merante, si era incontrato con Antonio Saladino in più di una occasione (clicca per leggere). 

 

Appena spunta il nome di Mancino, chissà come mai, sul Colle quirinalizio scatta in automatico un irrefrenabile desiderio  di “coordinamento” volto, si capisce, a servire le ragioni della giustizia e a “garantire la massima trasparenza, celerità e professionalità al fine di impiegare le migliori intelligenze investigative del nostro Paese in maniera puntuale e coerente, evitando così inutili sovrapposizioni con conseguente rallentamento delle indagini”.

 

E’ così, non c’è dubbio, con buona pace dei cospirazionisti in servizio permanente che, anziché adorare il nostro Presidente come farebbe qualsiasi bravo eunuco alla corte di Bisanzio, si permettono perfino di fare domande e avanzare critiche.

 

Scandalo! Oltraggio! Abominio! Che la rabbia di Zeus, padre degli dei, possa ricadere su di voi facendo giustizia di cotanto ardire. Ma torniamo a noi.

 

Vi prego di rileggere i giornali dell’epoca, titolavano tutti allo stesso modo da destra a sinistra: “L’inchiesta è un flop”, “Il Teorema di de Magistris”, “Genchi ha spiato quasi 10 milioni di italiani” e via mistificando.

 

Quando poi i tribunali della Repubblica hanno condannato alcuni protagonisti di quelle inchieste, tipo Saladino o l’ex presidente della regione Calabria Loiero, silenzio di tomba.

 

E’ la stampa bellezza! Saladino, poi, si è spinto oltre, querelando pure per diffamazione lo stesso Gioacchino Genchi a causa della pubblicazione del libro “Il Caso Genchi, storia di un uomo in balia dello Stato”, volume illuminante circa il modo di intendere il potere in Italia.

 

Ebbene, il giudice di Milano Andrea Ghinetti ha archiviato il procedimento nato dall’esposto di Saladino contro Genchi perché infondato. Genchi, ribattezzato “il più grande scandalo della Repubblica” da un Berlusconi non ancora de-minettizzato, si è semplicemente avvalso del suo sacrosanto diritto di critica.

 

Una notizia importante e confortante, specie in un periodo storico nel quale le voci critiche e non allineate vengono sempre più spesso indicate come bersaglio,  tollerate a fatica e perlopiù  invitate al silenzio complice, pavido e arrendevole.