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Denaro a fiumi, centinaia di posti di lavoro. La mafia ora punta sui centri commerciali

I market di Cosa nostra. Da Provenzano a Messina Denaro, da Falsone a Santapaola, i boss preferiscono riciclare i soldi nella grande distribuzione. Perfino Binu voleva aprire un supermercato nella sua Corleone

Giornale di Sicilia - 18/07/2008 - di Vincenzo Marannano

PALERMO. Perfino Bernardo Provenzano, durante la sua villeggiatura a base di ricotta e cicoria nel casolare di Montagna dei Cavalli, aveva gettato le basi per l’apertura di un supermercato Despar nella sua Corleone. Aveva fiutato l’affare, il vecchio Binu.  Soldi a fiumi, contanti subito e pagamenti a tre mesi: il modo migliore per riciclare i proventi del racket. Così, senza indugiare troppo, decise di investire della questione direttamente Matteo Messina Denaro, il «titolare» del marchio per la zona di Trapani. L’uomo che, attraverso Giuseppe Grigoli, aveva piazzato punti vendita in mezza Sicilia. E che, a stretto giro di posta, gli fece sapere come bisognava muoversi per «fare qualcosa per i suoi figli»: «(…) lei deve trovare una persona pulita – gli scriveva in una lunga lettera il boss di Castelvetrano -, cioè che non ha mai avuto a che fare con la legge, appena lei ha questa persona io dirò al mio paesano di comprarsi il punto vendita del suo paese e butta il proprietario attuale fuori».

Quel filo sottile che lega tutti i clan – Oggi, a quasi tre anni da quello scambio di lettere, il supermercato di Corleone non è stato ancora inaugurato. Ma in compenso la procura generale di Catania ha aperto una maxi-inchiesta che, proprio sotto il marchio Despar, ricostruisce gli affari delle cosche di mezza Sicilia, dai Santapaola di Catania a Messina Denaro, dal boss agrigentino Giuseppe Falsone al reggente della famiglia di Villabate Nicola Mandalà, fino all’ultimo pezzo da novanta finito in carcere nei mesi scorsi: Totuccio Lo Piccolo. In questi giorni il sostituto procuratore generale Gaetano Siscaro ha depositato gli atti, un enorme faldone contenente centinaia di pizzini, ordinanze, visure camerali, interrogatori e le dichiarazioni di sei collaboratori di giustizia, da Nino Giuffrè a Gaspare Pulizzi. L’inchiesta, partita dagli affari dell’imprenditore Sebastiano Scuto – re mida del carrello sotto processo per mafia, partito da zero e titolare oggi di 43 megastrutture e centinaia di negozi affiliati in tutta la Sicilia – si concentra adesso su una domanda: «E se Cosa nostra – tutta Cosa nostra, da Catania a Trapani passando per Palermo e Agrigento – avesse deciso di scommettere sui supermercati? E se Lo Piccolo, Messina Denaro, i Santapaola e Falsone avessero creato una joint venture legata al marchio Despar?».

La prima traccia del tesoro del Barone – La pista imboccata dal procuratore Siscaro porterebbe anche a una parte del tesoro di Lo Piccolo, un patrimonio sterminato,  del quale però finora si è solo favoleggiato. Al centro delle indagini palermitane sono finiti il centro commerciale di Villabate, il Centro Olimpo di Partanna Mondello, il Centro Guadagna e il Centro Leoni. Nel primo, gestito da Giovambattista Corvaia, secondo la ricostruzione dei pentiti Salvatore Lo Piccolo avrebbe un bar e una autolavaggio. Nel secondo il barone avrebbe gestito anche le assunzioni, “impostando” una serie di picciotti e parenti di uomini d’onore. Le indagini che hanno portato a Totuccio sono partite proprio da un pizzino, un banale pezzo di carta in cui Lo Piccolo aveva annotato tutti i numeri (almeno tre a testa) di Vincenzo e Alfonso Milazzo, padre e figlio, titolari del Centro Olimpo e soci in affari di Scuto e Grigoli. Il gruppo Despar, titolare di più di due mila punti vendita in tutta Italia, al momento non risulta coinvolto direttamente nelle indagini. Anche se il suo presidente, Antonio Gatto, è finito al centro di una serie di accertamenti legati a numerosi centri commerciali realizzati in Calabria.

 L’ufficio di collocamento dei boss – Perché, è inutile negarlo, l’affare-supermercato per le famiglie di Cosa nostra era come la gallina dalle uova d’oro: soldi a palate per la costruzione; centinaia, forse migliaia di operai al lavoro; altrettanti impiegati alle casse e ai reparti; e poi di nuovo soldi a palate dopo l’apertura. E in questo modo, oltre a ripulire fior di quattrini i boss controllavano anche migliaia di famiglie. Creavano clientele, incassavano consenso e sottomissione. A Palermo, ad esempio, attraverso una consulenza elaborata dal super-esperto informatico Gioacchino Genchi, è stato accertato che Salvatore Lo Piccolo si è occupato personalmente di numerose assunzioni al Centro Olimpo (anche questo marchio Despar), dove tra gli impiegati c’era anche il nipote prediletto di Saro Riccobono arrestato nel mese di gennaio perché accusato di far parte del clan Lo Piccolo. Assieme a lui, distribuite tra casse e reparti, c’erano pure una nipote di Salvatore Biondino, l’autista di Totò Riina, e la sorella di Giulio Caporrimo, detenuto, che oltre ad essere socio in affari di Calogero Lo Piccolo e Pietro Cinà (entrambi arrestati nell’operazione Addiopizzo) è indicato anche (con sentenza confermata in Cassazione) come l’uomo che forniva a Sandro Lo Piccolo i cellulari utilizzati per organizzare numerosi omicidi.

Dai «pizzini» sequestrati, ricostruita la fitta rete dei rapporti economici

«Non portare carne a Castellammare»

PALERMO. Per mesi quei contatti hanno rappresentato un rebus. Un vero rompicapo per gli investigatori. Che c’entrava, infatti, Salvatore Lo Piccolo con Catania? E cosa ci facevano due uomini di Nitto Santapaola in quel summit tra capimafia a Terrasini? Oggi quelle domande cominciano ad avere qualche risposta. Assieme a tutti quei pizzini – decine tra i circa 700 sequestrati al boss di San Lorenzo il giorno della cattura – in cui si fanno riferimenti diretti al capoluogo etneo e a una serie di supermercati. Da mesi la procura generale di Catania sta cercando infatti di mettere assieme tutti i tasselli di questo complesso mosaico per cercare di ricostruire contatti, affari, intrighi.

Alcuni incontri sono stati ricostruiti dai pentiti: «Nel gennaio 2007 – dice ad esempio Gaspare Pulizzi, ex capomafia di Carini oggi collaboratore di giustizia – ci eravamo visti assieme a Franco Franzese, ai Lo Piccolo, ad Andrea Adamo, a Nino Pipitone (nato nel 1969, ndr) e a Giancarlo Seidita. C’erano anche i catanesi, ossia Angelo Santapaola, Nicola Sedici ed Enzo Aiello.

In quell’occasione i catanesi avevano portato un kalashnikov per Sandro». Dieci mesi dopo i corpi di Santapaola e Sedici furono trovati carbonizzati nelle campagne di Ramacca. Il primo aveva un foro alla nuca, dell’altro restava poco o niente. Anche i riferimenti trovati nei pizzini scritti direttamente da Salvatore Lo Piccolo sono tanti: «X SCURO A quanto pare Mario Mad. Andò a (CT) e all’appuntamento non ci si presentò nessuno». E ancora: «Vende Madonia affiliati Conad. Non portare carne ad Alcamo e ne Castellamare». Numerosi anche i documenti in cui si parla di assunzioni:

«X Brancaccio: Persone sono andate all’Eurospin di Branc. per posti di lavoro. Ma sono regolari? Ma poi x il momento non è possibile». «XCATANIA – scrive in un altro pizzino il Barone – ci si deve dire a “Mussu” che gli deve puntualmente mandare i conteggi al mio amico, e di incontrarsi, che ha 2 mesi che lo manda a chiamare per definire certe cose e non ci si fa vedere». Oppure: «X CATANIA Lidel ci ha gli Lidel ci ha gli uffici a (CT) m’interessa se ci si può arrivare».

V.M.

Pochi nomi cumulano un groviglio di cariche, deleghe e partecipazioni nei più grandi supermercati

Così decine di società legano le «famiglie» dell’Isola.

PALERMO. Decine di società. Un groviglio di cariche, deleghe, partecipazioni. C’è un filo – neanche tanto sottile – che collega imprenditori catanesi a colleghi palermitani, trapanesi e agrigentini. Un filo ricostruito dalla Squadra mobile di Catania, che in un’informativa di 7pagine traccia un quadro completo dell’universo che fa capo a Sebastiano Scuto, Giuseppe Grigoli, Vincenzo Milazzo e Giovanbattista Corvaia. Il primo, sotto processo per mafia (la sua impresa è anche sottoposta ad amministrazione giudiziaria), è accusato di avere finanziato Cosa nostra «in cambio di protezione, riciclando in attività economica legale ingenti proventi delle attività illecite del clan Laudani e di altri clan alleati». Recentemente Scuto ha realizzato numerosi investimenti a Palermo, che ora sono finiti sotto la lente di ingrandimento della procura generale di Catania. L’imprenditore ha sempre negato tutto, dicendo di essere una «vittima e non un complice» dei boss. Poi c’è Giovanbattista Corvaia, proprietario del «Corvaia In» di Villabate. Secondo i pentiti, in particolare Campanella, Lo Piccolo gestiva un bar e un autolavaggio nel suo centro commerciale.

Partendo dalla posizione di Giuseppe Micalizzi, per anni a libro paga di numerosi centri commerciali del circuito, dalla Sicilia alla Calabria, gli investigatori sono risaliti a società come «Center Gross Lamezia Terme srl», «Center Gross Sicilia srl», «Ferrigno srl», «K& K srl», «Aligroup spa», «Grigoli Distribuzione srl». Tutte gestiscono supermercati Despar. E in tutte, di volta in volta spuntano partecipazioni di Scuto, Grigoli e di Vincenzo e Alfonso Milazzo (padre e figlio). Questi due sono responsabili del Centro Olimpo di Palermo. Secondo i pentiti oltre a non pagare il pizzo («…Sandro Lo Piccolo – dice Franzese – mi disse che per il Centro Olimpo non dovevo fare nulla in quanto la cosa la gestiva lui con i catanesi»), in quel megastore numerose assunzioni erano controllate direttamente dai boss.

V.M.

da “Giornale di Sicilia”, pag. 2 di venerdì 18 luglio 2008