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Il delitto del salumiere Riina, a giudizio i fratelli di Vitale

L’omicidio commesso cinque anni fa. La sorella del boss è accusata di essere la mandante. Sotto processo è finito anche suo marito

Giornale di Sicilia - 27 febbraio 2004 - di Cr. G.

Per evitare il processo avevano puntato tutto su un alibi che sarebbe stato confermato da un testimone (che in realtà ha smentito) e da una perizia tecnica, ma il gup Maria Elena Gamberini non si è convinta e ha rinviato a giudizio i fratelli Leonardo e Giusy Vitale e il marito di quest’ultima, Angelo Caleca. I tre imputati saranno processati così in Corte d’assise, per l’omicidio del salumiere Salvatore Riina, un omonimo del capo di Cosa Nostra, ucciso la sera del 20 giugno del 1998 a Partinico.

La Vitale, sorella anche di Vito, capomafia del paese, detenuto da sei anni e pluriergastolano, è considerata la «reggente» del mandamento mafioso nel periodo dell’omicidio: è accusata per questo di essere stata la mandante del delitto (nel quale avrebbe avuto un interesse specifico, visto che Riina avrebbe «dato fastidio» ai Vitale, nel campo degli appalti), assieme al fratello Leonardo, che, dal carcere, avrebbe dato l’assenso; Caleca avrebbe fatto invece da «battistrada», da palo, aiutando l’assassino, Michele Seidita, reo confesso, oggi collaboratore di giustizia e principale fonte delle accuse.

Il delitto venne commesso una ventina di minuti prima della mezzanotte. Secondo l’accusa, sostenuta dai pubblici ministeri Salvatore De Luca e Francesco Del Bene, Giusy sarebbe stata a casa e Caleca avrebbe appoggiato Seidita. Per dimostrarlo, i pm avevano affidato a un superesperto informatico, Gioacchino Genchi, il compito di studiare e analizzare il «traffico telefonico» e la posizione dei due coniugi, attraverso l’esame degli spostamenti dei cellulari. Genchi aveva stabilito che la donna non si era mossa da casa, mentre il marito era uscito.

Un’ulteriore conferma era arrivata dalle intercettazioni cui era sottoposto, sempre nel giugno di cinque anni fa, il telefono della Vitale: giusto la sera del delitto, la donna aveva parlato per due volte, fra le 22.15 e le 22.25, con un proprio amico, confermandogli di essere a casa e che il marito non c’era. La conversazione, data la natura del rapporto tra i due, non si sarebbe certo potuta svolgere in presenza di Caleca.

La difesa, rappresentata dagli avvocati Marco Clementi e Mimmo La Blasca, ha ribattuto con una contro-perizia, realizzata da un ingegnere informatico: facendo la stessa analisi di Genchi, l’esperto era arrivato a conclusioni diverse, stabilendo che le «celle» cui si erano«agganciati » i telefonini dei due coniugi confermavano la versione dei due imputati; Caleca e la moglie sarebbero stati cioè in una pizzeria di Trappeto e vi si sarebbero trattenuti dalle nove, nove e mezza di sera fin dopo la mezzanotte. Il locale si trova lontano dal luogo del delitto (che è invece a poca distanza da casa Caleca- Vitale) e dunque l’alibi, in teoria, avrebbe potuto reggere. La difesa aveva pure sostenuto che quella sera, in pizzeria, c’era anche uno dei figli di Riina, la vittima, e che il giovane avrebbe potuto confermare la versione dei due imputati. Cosa che però Giuseppe Riina non ha fatto, sostenendo di non aver visto i due.

Al processo è probabile comunque che la Corte d’assise disponga una perizia, da affidare a un consulente tecnico d’ufficio, per accertare come andarono i fatti.

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