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PALERMO – Il tribunale del riesame di Messina ha confermato le ordinanze di custodia del gip contro Giuseppe Scarpari e Rocco Scarpari, padre e figlio, di Varapodio (Reggio Calabria) accusati di avere piazzato, il 7 gennaio 2002, un ordigno dinamitardo che distrusse l’autovettura dell’imprenditore Luciano Milio, scaraventata sull’ingresso della villa di Capo d’Orlando (Messina).
Secondo l’accusa, alla base del contrasto col Milio una presunta estorsione di alcuni miliardi per contributi comunitari che il Milio avrebbe incassato non distribuendoli ai ”calabresi”, che già avevano puntato gli occhi sui lauti introiti dell’imprenditore orlandino, da tempo impegnato nel settore della raccolta agrumaria. Su questo e su altri aspetti dell’indagine sono ancora in corso degli accertamenti per individuare altri reati, anche ai danni dello Stato e della Comunità europea.
L’attentato del gennaio del 2002 seguiva altri analoghi episodi ai danni del noto imprenditore di Capo d’Orlando, come l’incendio che nel marzo del 2000 ha distrutto gli uffici dell’azienda del Milio, con danni per diverse centinaia di milioni. Oltre alla consulenza degli esplosivisti Cabrino e Vassale – già impegnati nelle stragi del 92′ – l’indagine della Procura della Repubblica di Patti, coordinata dal sostituto Antonino Nastasi, si è avvalsa della collaborazione dell’esperto informatico Gioacchino Genchi. Il funzionario di polizia ha monitorato alcuni milioni di conversazioni telefoniche individuando l’utenza cellulare utilizzata da Rocco Bonino, indicato come esecutore materiale dell’attentato e già arrestato il 25 maggio scorso. Le elaborazioni dei dati di traffico e le intercettazioni telefoniche hanno confermato i sospetti sui mandanti dell’attentato, adesso ribaditi dal tribunale del riesame. (ANSA)
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