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Accuse di diffamazione, violazione della privacy e del segreto d’ufficio: tutti i procedimenti giudiziari che Edoardo Montolli ha dovuto affrontare. Una vicenda emblematica
Dopo l’uscita del suo libro-inchiesta dal titolo Il Caso Genchi. Un uomo in balia dello Stato (Aliberti editore), pubblicato nel 2009, il giornalista Edoardo Montolli è stato costretto per sette anni a difendersi davanti ai giudici da una valanga di accuse di diffamazione, violazione della privacy e del segreto d’ufficio. Alla fine la sua battaglia si è conclusa con questo bilancio: una sconfitta e sei vittorie.
La sconfitta brucia e pesa anche economicamente: riguarda la condanna per diffamazione su querela dell’ex procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi. Nel 2016, la Cassazione ha condannato lui e Gioacchino Genchi a 900 euro di multa e a un risarcimento danni di 20mila euro ciascuno. Ma Montolli e Genchi considerano la partita non ancora chiusa: hanno fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) di Strasburgo e sperano di avere ragione. “I giudici italiani hanno sanzionato il mio diritto di critica. Credo che quelli di Strasburgo mi daranno ragione. Negli altri casi mi sono limitato a esporre i fatti e i procedimenti si sono chiusi con l’archiviazione o l’assoluzione”, spiega Montolli a Ossigeno.
In questi altri procedimenti civili e penali (vedi in dettaglio) Montolli ha dovuto difendersi da accuse di membri di forze dell’ordine, magistrati, un avvocato, un deputato, da lui citati nel libro. Alcuni avevano chiesto il ritiro del volume dal mercato.
In questa lunga battaglia, una delle difficoltà maggiori è stata l’assistenza legale, spiega Montolli. All’inizio, è stato difeso da un l’avvocato scelto e pagato dall’editore Aliberti. Nel 2013, l’editore ha dichiarato fallimento e da allora Montolli ha dovuto difendersi a sue spese, ed è stato assistito dall’avvocato Fabio Schembri. Altra nota amara è la poca solidarietà ricevuta. Scarsa l’attenzione degli stessi colleghi: della condanna (settembre 2016) e delle altre vicende giudiziarie del libro hanno parlato, spiega Montolli, soltanto Il Fatto Quotidiano e Radio Padania.
Il libro ricostruisce le inchieste del vice questore Gioacchino Genchi, ex consulente informatico di diverse procure, specializzato nell’analisi di tabulati telefonici ed accusato nel gennaio del 2009 di aver intercettato illegalmente 350mila persone (accusa da cui verrà poi scagionato).
Ossigeno riferisce questa vicenda perché, nonostante la condanna definitiva – che non si intende minimizzare, in quanto mette in evidenza l’essenzialità nel lavoro giornalistico del comportamento deontologicamente corretto e del ricorso a una esposizione non tendenziosa e non allusiva dei fatti – essa è emblematica della condizione di molti giornalisti: chiamati ad affrontare processi penali e civili per aver fatto nient’altro che il proprio lavoro, devono sostenere notevoli pressioni, a livello psicologico ed economico, in particolare quando “non hanno le spalle coperte” da un editore forte, che fornisce loro tutela legale, e quando colleghi e istituzioni non mostrano il loro sostegno.
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