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Una funzionaria della Commissione Europea di origini palermitane (L. G.) era stata imputata del reato di calunnia per avere inviato, il 16 luglio 2018, un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo. Nell’esposto la donna aveva segnalato dei possibili comportamenti non “conformi al codice deontologico professionale” di un avvocato civilista palermitano (R.B.), che era stato poi prosciolto da ogni accusa dal suo ordine professionale. La vicenda traeva origini da beghe familiari, nelle quali l’avvocato, su iniziativa del fratello dell’imputata, aveva inviato alla donna una raccomandata di diffida a firma della anziana madre, gravemente ammalata e poi deceduta, con la quale la diffidava a non accedere più nella casa paterna, durante i brevi periodi dell’anno in cui da Bruxelles si recava a Palermo per trascorrere le ferie.
L’iniziativa non era stata gradita al diretto interessato, che aveva denunciato la signora per calunnia alla Procura della Repubblica di Palermo. Nel giudizio l’avvocato si era costituito parte civile con l’avvocato Ida Giganti. In conclusione del processo il pubblico ministero ha chiesto la condanna dell’imputata a due anni di reclusione, senza il riconoscimento di alcun beneficio, nonostante il suo stato di assoluta incensuratezza. Nel tardo pomeriggio di ieri, in conclusione del processo, il giudice della quinta sezione monocratica del Tribunale di Palermo, Marina Minasola, ha assolto L. G. con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, accogliendo integralmente la tesi difensiva dell’avvocato Gioacchino Genchi.
Il Tribunale ha quindi ritenuto che l’imputata si era solo limitata a segnalare possibili comportamenti non “conformi al codice della deontologia forense” dell’avvocato (R.B.). In più l’esposto non era stato in alcun modo diretto all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella aveva l’obbligo di riferire, né era risultato che lo stesso sia mai stato trasmesso alla competente Procura della Repubblica o ad un altro ufficio di polizia giudiziaria dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo o da un altro organo dello stesso ente che l’ha ricevuto, come il Consiglio Distrettuale di Disciplina, considerato che l’organo di “autogoverno delle toghe” quale mero destinatario dell’esposto ha solo funzioni di natura disciplinare nei confronti degli iscritti, che non sono in alcun modo assimilabili a nessuno dei soggetti pubblici specificatamente e tassativamente indicati dalla legge (pubblici ufficiali, articolo 347 del codice penale, e incaricati di pubblico servizio, articolo 358 del codice penale) che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, avuta notizia di un reato perseguibile d’ufficio, hanno l’obbligo di farne denuncia per iscritto all’autorità giudiziaria, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.
Inoltre, come è stato dimostrato nel processo grazie alle indagini difensive svolte dall’avvocato Gioacchino Genchi, l’avvocato R.B. da un lato aveva artatamente omesso dal depositare alcuni atti idonei a dimostrare la buona fede della dottoressa L. G., dall’altro aveva taciuto agli inquirenti quando era stato interrogato, fra le tante cose, il contenuto delle diverse email che la stessa le aveva inviato, dando per recapitata una raccomandata che l’imputata – come è stato dimostrato – non aveva mai ricevuto nella sua residenza di Bruxelles. Da qui l’epilogo di un lungo processo e di una vicenda giudiziaria durata oltre sei anni, che ha sancito l’assoluzione dell’imputata con la formula più liberatoria possibile: “perché il fatto non costituisce reato”.
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