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Nel pc dell’hacker di Roma le password di 46 pm. Tra loro anche Cantone

Spiati il procuratore di Napoli Gratteri e quello di Firenze Spiezia. Il 23enne che ha violato i server del ministero della Giustizia si era offerto di collaborare con Fbi e Aisi. NEL SUO PORTAFOGLIO ELETTRONICO 2 MILIONI IN CRIPTOVALUTE. IL MAGISTRATO PERUGINO: «INQUIETATO DALLA RICOSTRUZIONE»

Il Messaggero - 17 ottobre 2024 - di Leandro Del Gaudio

Li teneva in scacco tutti. Aveva l’accesso alle comunicazioni di tutti i dipendenti del ministero della giustizia – e non parliamo solo di magistrati – mentre era riuscito ad impossessarsi anche di un altro patrimonio di informazioni: aveva le password di ben 46 pm italiani, tra cui i quelle del procuratore di Napoli Nicola Gratteri, del procuratore di Perugia, il magistrato partenopeo Raffaele Cantone; del procuratore di Firenze, Filippo Spiezia, mentre aveva il controllo dell’accesso alla posta elettronica di decine di pm della Procura di Torino. Un pozzo senza fondo, il patrimonio di dati e informazioni riservate che viene ricondotto da Carmelo Miano, l’hacker siciliano – ma residente nel quartiere romano della Garbatella – finito in cella meno di un mese fa, grazie a una inchiesta napoletana.
 
Giro di boa decisivo, quello di ieri mattina. Dinanzi ai giudici del Tribunale del Riesame di Napoli, nuovo round tra accusa e difesa. Sono stati i pm di Napoli a depositare il parere contrario alle richieste di Miano. In sei pagine, si dice no alla scarcerazione, di fronte al pericolo che – una volta ai domiciliari – l’informatico possa reiterare le proprie condotte di aggressione ai sistemi informatici di mezza Italia; ma si dice anche no alla trasmissione degli atti da Napoli a Perugia, a partire da un dato oggettivo: anche i server dell’ufficio perugino – a partire dalle mail del procuratore Cantone – sono stati virtualmente sotto attacco. Per ricostruire quanto avvenuto ieri mattina. Aula 719, i pm Claudio Onorati e Maria Sofia Cozza (titolari dell’inchiesta assieme al pm Ciro Capasso e all’aggiunto Vincenzo Piscitelli) battono su due punti: «Il quadro indiziario si è aggravato – scrivono – alla luce dell’analisi del contenuto delle perquisizioni messe a segno ai primi di ottobre». Inoltre, aggiungono gli inquirenti, la disponibilità di un wallet (un portafoglio elettronico) dal quale sono stati sequestrati due milioni di moneta elettronica, fa emergere un giro di affari più ampio rispetto alle prime fasi dell’inchiesta. Diversa la valutazione del legale di Miano. Assistito dal penalista Giacchino Genchi, Miano ha fornito alcune ammissioni in questa storia, sostenendo di aver praticato alcune incursioni nel sistema informatico della giustizia, ma con l’unico scopo di verificare (e apprendere) le accuse che lo vedevano indagato tra Gela, Napoli e Roma. Ed è il suo legale a ricordare anche un particolare finora inedito: mentre era sotto indagine, Miano avrebbe offerto le sue competenze all’Fbi, «in importanti investigazioni internazionali», all’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna).
 
LA COPIA

Dagli accertamenti della polizia postale, coordinati dai pm del pool cybercrime di Napoli è emerso che, grazie alle sue abilità, era riuscito a copiare sui suoi dispositivi personali l’intero data-base utenti del Ministero, dal quale ha poi estrapolato le password di 46 magistrati inquirenti di stanza tra Firenze, Perugia e Torino. Una notizia che ha «incuriosito e inquietato» il procuratore della Repubblica del capoluogo umbro, Raffaele Cantone, a sua volta impegnato in una indagine analoga, quella sulle cosiddette sos: parliamo dei presunti accessi abusivi alle banche dati in uso alla Direzione nazionale antimafia da parte del finanziere Pasquale Striano. Come è noto, oltre all’ufficiale della Gdf, anche l’ex magistrato Antonio Laudati è indagato (difeso dal penalista Andrea Castaldo, si dice pronto a dimostrare la correttezza della propria condotta).
 
LA COMPETENZA

È la memoria firmata da Genchi ad offrire un altro aspetto inedito, che risale all’interrogatorio reso dinanzi al gip Enrico Campoli dallo stesso Miano. L’hacker ha ammesso di aver avuto accesso alle caselle email personali di alcuni pm (Cozza, Onorati e Piscitelli), ma anche dello stesso procuratore nazionale Nicola Gratteri. Ed è sempre Miano ad ammettere che il procuratore di Napoli da tempo si affidava poco all’account Giustizia.It, preferendo usare altri canali per la trasmissione di note e informative coperte da segreto istruttorio, evidentemente consapevole della necessità di blindare il contenuto delle proprie indagini. Uno scenario confermato dallo stesso procuratore Gratteri che, in occasione della conferenza stampa a Napoli assieme al procuratore nazionale Gianni Melillo, aveva ricordato «di aver usato metodi tradizionali (carta e penna) per sfuggire alla trama di incursioni messe in atto dall’hacker siciliano».
 
LE AZIENDE

E non è solo una questione interna al mondo giudiziario. A rileggere le ultime accuse dei pm di Napoli, l’hacker avrebbe puntato anche ad altri target. La Finanza, un commissariato di Polizia, e un colosso delle telecomunicazioni. È il capitolo che riguarda il pressing del pirata contro la Tim. Un colosso che sarebbe finito nella trama del giovane informatico. Scrivono i pm di Napoli: «Sono emerse evidenze circa l’accesso abusivo e susseguente sottrazione di svariati milioni di credenziali dai sistemi telematici della società Tim spa (l’intero database degli utenti), tra le quali è prevedibile che vi siano utenze personali e di servizio appartenenti a magistrati in servizio su tutto il territorio nazionale (e di ulteriori appartenenti ai loro familiari)». Quanto basta a spingere gli inquirenti a battere su un punto: di fronte a questo scenario, non ha senso trasmettere gli atti via da Napoli, perché qualunque magistrato – in qualunque altro ufficio – sarebbe potenzialmente vittima dello spione finito in cella. Uno scenario che si fa via via più chiaro, anche se la Procura di Napoli avverte su un punto, relativo alle presunte complicità di Miano: difficile ipotizzare che l’aggressione massiva e sistematica di milioni di dati non sia legata a un preciso mandante, in Italia o all’estero.
 
LA VICENDA

1 La scoperta dell’hacker

Le indagini sono partite da un hacking che ha colpito il Ministero della Giustizia e altre aziende, rivelando che dietro l’operazione c’era Carmelo Miano, un 24enne della Garbatella

2 Arresto poi confessione

Dopo il suo arresto, Miano ha ammesso le sue colpe dichiarando: «Ho rubato le mail dei pm perché avevo attacchi d’ansia. Alle medie mi bullizzavano». La sua confessione ha rivelato una vita di isolamento

3 Le indagini continuano

Ora in siolamento nel carcere di Regina Coeli, Miano rischia fino a 30 anni di reclusione. Le indagini della Procura di Napoli svelano 46 password di magistrati inquirenti nel suo computer