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Intercettazioni disposte in altri procedimenti e scadenza dei termini di indagine non rispettata: il processo scaturito dall’inchiesta “Giano Bifronte”, che ipotizza un giro di tangenti in cambio della concessione di prestiti a tasso agevolato da parte dell’Irfis, istituto di credito di cui la Regione è unico azionista, non decolla.
L’avvocato Gioacchino Genchi, legale di due imprenditori imputati, dopo una serie di eccezioni analoghe, ha chiesto l’inutilizzabilità di intercettazioni e atti di indagine per svariate irregolarità procedurali nella fase delle indagini. Il presidente della prima sezione penale Alfonso Malato ha ordinato al pm Paola Vetro di replicare per iscritto e produrre la relativa documentazione. Il 14 aprile si torna in aula per comunicare la decisione dei giudici.
L’inchiesta ruota attorno a due personaggi: il funzionario dell’istituto Paolo Minafò, 53 anni, palermitano, e il consulente del lavoro Antonio Vetro, 48 anni, di Favara. Vetro, secondo l’accusa, avrebbe ideato un sistema corruttivo che si serviva della società di consulenza Intersystem srl di cui lui era amministratore e Minafò sarebbe stato socio occulto. I soldi delle “tangenti”, necessarie per non vedersi bloccate le pratiche, poi, sarebbero stati spartiti.
Nella lista degli imputati ci sono altri quindici imprenditori – soci di piccole attività che operano in svariati settori – accusati di avere corrotto Minafò attraverso Vetro.
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