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REGGIO CALABRIA – Potrebbero essere state registrate le telefonate tra Francesco Fortugno e Giuseppe Pansera. Tra le migliaia di bobine accumulate in questi anni ascoltando le conversazioni degli affiliati alla cosca della ’ndrangheta dei Morabito, i magistrati potrebbero trovare anche i trentuno colloqui che i due ebbero tra il settembre del 1997 e il febbraio del 2000.
Da un capo del filo c’era il medico di Locri, genero del senatore democristiano Mario Laganà, e lui stesso già impegnato politicamente. Dall’altro, il medico di Melito Portosalvo, genero del boss della ’ndrangheta Giuseppe Morabito detto «Tiradritto», e lui stesso già impegnato in affari criminali. Il primo, eletto con quasi 9.000 voti per la Margherita e diventato vicepresidente del Consiglio regionale, è stato ammazzato domenica scorsa in un seggio delle primarie dell’Unione. Il secondo, condannato a sedici anni per traffico internazionale di droga, è rinchiuso nel carcere di Parma.
I loro destini si sono incontrati negli anni scorsi e adesso chi indaga su questo delitto di stampo politico-mafioso sta cercando di accertare la natura dei loro contatti. Di capire se in passato Fortugno possa essere stato sottoposto a pressioni o minacce. Sua moglie Maria Grazia Laganà, che ieri è stata interrogata dai pm di Reggio Calabria, lo ha escluso e ai pubblici ministeri ha chiesto di poter ascoltare le registrazioni delle telefonate. Ma non è affare semplice.
Quei colloqui non sono mai stati ritenuti utili per le indagini e dunque potrebbero essere stati distrutti. La Procura di Milano che ha seguito le indagini sul traffico internazionale di droga gestito dai Morabito non li ha mai avuti.
Agli atti del processo celebrato nel capoluogo lombardo che si è concluso quindici giorni fa, c’è soltanto il rapporto firmato dal consulente Gioacchino Genchi, che analizza i dati ricavati dai tabulati telefonici degli imputati. Incrociando i numeri di telefono utilizzati sono saltati fuori i contatti con Fortugno e le due telefonate tra Pansera e la signora Laganà che ha già dichiarato: «Erano rapporti di lavoro, perché tutti siamo medici e in quel periodo bisognava rinnovare le cariche del consiglio dell’ordine».
I magistrati vogliono sapere anche perché Fortugno abbia avuto, nel novembre del 1999, tre conversazioni con Leone Bruzzaniti, nipote di «Tiradritto», anche lui affiliato al clan e ritenuto dall’accusa «la punta avanzata della cosca nel Norditalia», recentemente condannato a diciannove anni e mezzo di carcere.
Ieri i pubblici ministeri di Milano e quelli di Reggio Calabria hanno avuto un lungo colloquio per stabilire le modalità dello scambio di documenti. Il rapporto firmato da Genchi era già stato trasmesso in Calabria nei mesi scorsi ed è finito in una delle inchieste sulle cosche dalla costa jonica. Ora sarà allegato agli atti dell’indagine sull’omicidio. E intanto carabinieri e polizia analizzeranno nuovamente i brogliacci delle intercettazioni e ascolteranno le registrazioni per trovare quei colloqui. Cercheranno di scoprire se i boss, da sempre interessati agli affari legati alla Sanità e a piazzare gli uomini giusti nei posti chiave, potessero aver esercitato pressioni su Fortugno.
Le indagini sul suo omicidio continuano a concentrarsi proprio su questo settore e su tutte le prossime scadenze che la giunta guidata da Agazio Loiero si troverà a dover affrontare nelle prossime settimane: dalla ristrutturazione dell’ospedale di Locri alle nomine dei direttori delle Asl, dalle convenzioni con i laboratori privati alle autorizzazioni per l’apertura dei nuovi centri. E sempre nella convinzione che l’avvertimento lanciato con questo delitto sia rivolto proprio ai nuovi eletti alle amministrative.
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