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Sequestrati gli affitti di Provenzano

Filippo Lombardo ai magistrati: "Non sapevo più a chi consegnare quelle somme". Trovati 44 mila euro - Dopo gli arresti, il prestanome aveva aperto un conto in banca

Repubblica - 26 novembre 2002 - di Salvo Palazzolo

Un altro prestanome del capo di Cosa nostra confessa. Filippo Lombardo, arrestato a settembre, ha svelato alla Procura di Palermo dove erano nascosti gli affitti delle proprietà più esclusive di Bernardo Provenzano, quelle in via Principe di Belmonte: in un anonimo conto corrente del Banco di Sicilia di Misilmeri. La squadra mobile ha così sequestrato 43.898 euro, 85 milioni delle vecchie lire. Dopo l’arresto dei manager di Provenzano, fra marzo 2001 e gennaio di quest’anno, i soldi degli affitti erano rimasti bloccati: la rete di collegamento fra il prestanome degli immobili, Filippo Lombardo, e il vertice mafioso si era improvvisamente interrotta. «Non sapevo a chi consegnare quelle somme», ha spiegato Lombardo ai pm Michele Prestipino e Marzia Sabella parlando della gestione di un magazzino di via Belmonte, affittato a un megastore informatico. Il ruolo di quest’ultimo prestanome era stato scoperto decifrando il contenuto di un floppy disk sequestrato a casa di Pino Lipari, il manager di Provenzano finito in carcere insieme ai suoi familiari nel gennaio scorso. A fine settembre le manette scattarono per Lombardo: nel suo primo interrogatorio, davanti al gip, disse che ammetteva tutte le sue responsabilità. Ma non aveva chiarito proprio tutto. Venerdì 8 novembre è stato interrogato dai pubblici ministeri e ha svelato nuovi retroscena. Lunedì 11, all’apertura della filiale del Banco di Sicilia di Misilmeri, in piazza Comitato, c’erano già gli investigatori della squadra mobile con il decreto di sequestro. «Fu Santo Schimme nti a chiedermi la cortesia di intestarsi il magazzino, per ragioni fiscali», così inizia il racconto di Lombardo. Il verbale è adesso agli atti della richiesta di rinvio a giudizio che la Procura ha avanzato nei confronti dei manager di Provenzano. I soldi seguivano sempre la stessa strada per giungere nelle tasche del capo di Cosa nostra: l’assegno dell’affitto arrivava nello studio dell’avvocato Cinzia Lipari, intestato a Lombardo, a cui veniva subito trasmesso. Il prestanome lo scambiava e girava i soldi a Schimmenti. Poi le somme tornavano nuovamente verso Lipari e dunque Provenzano. Il sistema ha funzionato alla perfezione per anni, sino a quando Schimmenti e Lipari non sono finiti in manette. Erano rimaste undici mensilità da consegnare, da settembre 2001 a ottobre 2002. «Questi sono i soldi – ha detto Lombardo ai magistrati – li troverete sul mio conto, ma levateci le tasse che ho pagato». Lui sostiene che da tempo «voleva uscirsene»: un giorno incontrò Pino Lipari dentro una roulotte, a Palermo, e lo avrebbe avvertito. Si sentì rispondere: «Queste sono cortesie di amicizia». Replicò, così almeno racconta Lombardo: «Ma quale amicizia e amicizia, mi hanno rubato un camion e una pala». Il prestanome insiste nel voler prendere le distanze dagli affari di Lipari, ma i pm non gli credono sino in fondo. In uno dei dischetti che hanno svelato i segreti dei boss, l’esperto informatico della Procura, Gioacchino Genchi, ha trovato una lettera relativa al furto subìto da Lombardo: «Ti sarei grato – scriveva Lipari a Provenzano – se potessi spendere qualche parolina».