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Rapina da centomila euro in una villa. I banditi perdono il cellulare: sei arresti

Polizia. L’assalto avvenne nel 2002 a Città-Giardino, coinvolto pure l’ex fidanzato della proprietaria. La cassaforte conteneva gioielli: fu aperta con la fiamma ossidrica

Giornale di Sicilia - 25 marzo 2006 - di Francesco Massaro

Addormentarono il cane e misero la sirena dell’allarme in una bacinella piena d’acqua. Poi si diressero verso la cassaforte, la aprirono con la fiamma ossidrica e presero preziosi per centomila euro. Ma qualcosa andò male. E lo capirono quando sentirono la porta che si apriva. Era la padrona di casa, rientrata prima del previsto.

La donna vide uno dei banditi, cercò di bloccarlo, vi fu una breve colluttazione ma l’uomo — e con lui i suoi complici — riuscirono a scappare. Da giovedì notte, quattro anni dopo, i banditi hanno un nome e un volto. Cinque sono stati arrestati dai poliziotti della sezione volanti, uno era già in carcere per rapina. Dall’indagine è stato pure sfiorato un appuntato dei carabinieri. Nei mesi scorsi è stato ascoltato dal sostituto procuratore Maurizio Agnello: «Le spiegazioni che mi ha dato le ritengo sufficienti, almeno per ora». Per questo nei suoi confronti non è stato chiesto l’ordine di custodia cautelare. Però risulta indagato, e sono tante le cose che deve ancora chiarire.

Il basista della banda è considerato Filippo Quatrosi, 38 anni, uno che conosceva a memoria la villa di Città-Giardino, il grande residence di via La Malfa, perché fino a qualche anno prima del colpo aveva avuto una relazione sentimentale con la proprietaria. I due troncarono i loro rapporti, così hanno spiegato ieri gli inquirenti, quando lui venne coinvolto in una storia di estorsioni. Era stata la donna, subito dopo la rapina, a mettere gli investigatori sulla pista giusta. Solo Quatrosi, fra gli estranei, conosceva il nascondiglio della cassaforte. Solo lui poteva dunque andare a colpo sicuro.

Quatrosi — abita in viaMonsignor Serio 9, all’Uditore — è stato preso assieme a Salvatore Di Lorenzo, 37 anni (Capaci, via Kennedy 130), Andrea Barone, 46 anni (via Giorgio Maniace 2, alla Zisa), Calogero Filippone, 26 anni (via Crispi 18/B) e Salvatore Loddo, 28 anni (vicolo Pietà a Palazzo Reale 8, nel centro storico). Era già in carcere Giuseppe Di Lorenzo, 39 anni, di Torretta. Proprio quest’ultimo è, in un certo senso, il fulcro dell’indagine.

Durante la fuga, era il 21 agosto del 2002, l’uomo perdette il suo telefonino. I poliziotti delle volanti (coordinati prima dal vicequestore aggiunto Rosi La Franca e nella parte finale dell’indagine dal commissario capo Piergiorgio Di Cara) lo ritrovarono, esaminarono la rubrica e composero il numero archiviato sotto la voce mamma. A questo punto fu facile risalire a lui. L’uomo, dopo avere capito di essere con le spalle al muro, tentò una carta disperata: andò a costituirsi poche ore dopo la rapina ai carabinieri di Torretta — sapeva di essere ricercato dal 21 giugno per altre rapine nel nord Italia — nella speranza così di crearsi un alibi, di essere tagliato fuori dalle indagini sul colpo a Città-Giardino.

Gli investigatori glielo lasciarono pure pensare, in realtà diventò il sospettato numero uno. Assieme a Quatrosi, sul quale la proprietaria della villa aveva concentrato i suoi sospetti invitando i poliziotti a fare lo stesso. Grazie all’esame dei tabulati telefonici — arrivati ben tre anni dopo — gli agenti delle volanti sono riusciti a risalire anche agli altri della banda. È stato il consulente della Procura Gioacchino Genchi a confermare — dopo lo studio delle cellule telefoniche — che i sei si trovavano nella zona di Città-Giardino durante il colpo.

Il carabiniere coinvolto nell’inchiesta è Matteo Di Giovanni, 44 anni, in servizio alla compagnia San Lorenzo. L’appuntato è risultato essere in stretti rapporti con Giuseppe e Salvatore Di Lorenzo. Col primo in particolare. In base agli elementi raccolti dagli inquirenti, dopo la rapina alla villa Giuseppe Di Lorenzo chiamò proprio il carabiniere.Era in preda al panico perché aveva perso il telefonino. Sapeva di essere nei guai, sapeva di non avere via di scampo. Per questo chiese consiglio all’amico-appuntato.

Il quale — secondo la versione fornita dallo stesso carabiniere al pm Maurizio Agnello — gli spiegò di non potere fare niente per lui. Invitandolo a costituirsi. Ricostruzione dei fatti vera o edulcorata per trovare una giustificazione dei suoi rapporti con Di Lorenzo? E fino a che punto si spingeva l’amicizia fra i due? L’esame iniziale dei tabulati telefonici portò gli inquirenti a sospettare che anche il carabiniere avesse partecipato alla rapina, almeno durante le fasi preparatorie. Circostanza che l’indagato ha però respinto con decisione. «Ma la sua posizione è ancora in via di definizione », ha spiegato in conferenza stampa Agnello. Il quale poi, riferendosi al fatto che lo stesso appuntato seppe in tempo record di essere sottoposto ad indagini, ha parlato di «fuga di notizie su cui sono in corso ulteriori accertamenti».

Personaggio tutto da interpretare anche Salvatore Di Lorenzo: dal traffico telefonico del suo cellulare si aprono inquietanti interrogativi sui suoi rapporti con carabinieri, polizia e servizi segreti. Ma questo sembra essere un capitolo ancora tutto da scrivere.

 

Il magistrato: la banda potrebbe essere coinvolta anche in altri raid

Il pm: «Indagini lente? Non è colpa nostra Tabulati telefonici ottenuti dopo 3 anni»

Tre anni per ottenere i tabulati dalle compagnie telefoniche. Molto, troppo tempo. Per questo gli arresti dei sei sono arrivati quasi quattro anni dopo la rapina. Potevano essere eseguiti prima. «Purtroppo senza quei tabulati abbiamo le mani legate—spiega Maurizio Agnello, il sostituto procuratore che ha coordinato l’inchiesta—. Per ricostruire telefonate e movimenti di un indagato non bastano i tabulati di una compagnia, servono quelli di tutti i gestori telefonici. Quando affrontiamo un’indagine li chiediamo immediatamente, ma poi li otteniamo con grande ritardo».

Una volta che il consulente della Procura Gioacchino Genchi ha avuto quei tabulati tra le mani l’indagine ha avuto una notevole accelerazione. Il problema dei ritardi con cui le compagnie mettono a disposizione i traffici telefonici degli indagati esiste ovviamente anche in altri tipi di inchieste. Comprese quelle di mafia. Un problema, diceva ieri mattina Agnello in conferenza stampa, addebitabile probabilmente alla gran mole di richieste che le aziende telefoniche si ritrovano sul tavolo.

I tabulati ottenuti dagli inquirenti nell’ambito di questa indagine potrebbero tornare utili anche per altre inchieste in corso. Specialmente quelle su furti e rapine a tabaccherie. «Il modus operandi — spiega ancora Agnello — lascia supporre che la banda sia entrata in azione anche in altre circostanze». Sotto osservazione soprattutto alcuni furti a tabaccai messi a segno dopo la disattivazione dell’allarme immergendo la sirena in una bacinella. Proprio quello che è successo il 21 agosto 2002 nella villa di Città Giardino. Altro particolare importante: nel cellulare di un indagato per una serie di assalti a tabaccherie e a camion carichi di sigarette è stato trovato il numero telefonico di Quatrosi. Soltanto un caso?

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