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Perché ho intercettato Prodi e Mastella

Fondi europei. Le schede telefoniche intestate ad altri, i colloqui fra indagati, lo studio dei tabulati... Il consulente di De Magistris spiega come hanno fatto due big della politica a entrare nell’inchiesta

Panorama - 27 dicembre 2007 - di Gian Marco Chiocchi

«Adesso vi spiego come sono emerse le utenze telefoniche di Romano Prodi, Clemente Mastella e di altri personaggi della politica, finiti nell’inchiesta sui fondi Ue. Sono stanco di leggere falsità sul mio conto e sul mio lavoro».

Rompe gli indugi Gioacchino Genchi, consulente tecnico di numerosi uffici giudiziari e del pm di Catanzaro Luigi De Magistris nell’inchiesta Why not (poi avocata dalla procura generale) che tanti grattacapi ha dato al governo, al presidente del Consiglio e soprattutto al guardasigilli.

Togliamoci subito il pensiero: ha intercettato oppure no il presidente del Consiglio?

No, in vita mia non ho mai intercettato nessuno. È vero, invece, che lavorando sui tracciati telefonici di soggetti coinvolti nell’inchiesta Why not sono finito sul telefonino del premier. La sua utenza si rapportava con altri indagati. La sim card non era intestata a Prodi, che all’epoca dei fatti non era nemmeno parlamentare. Quella scheda, come altre, era intestata a una società di telecomunicazioni, che l’aveva girata all’ex presidente della Commissione europea e al suo staff. Poi si è scoperto che quel telefonino lo utilizzava il premier, anche quando aveva assunto lo status di deputato. Le acquisizioni dei tabulati si fanno per accertare le circostanze che non si conoscono e nessuno di noi è un oracolo. Lo stesso è accaduto per il cellulare di Mastella, che non era nemmeno intestato a lui. Quando ne furono acquisiti i tabulati, non si conosceva neppure l’intestazione all’ente che aveva attivato la scheda. Se per ogni utenza, nel sospetto che possa essere stata utilizzata da un parlamentare, si chiedesse l’autorizzazione alle Camere, si bloccherebbero di fatto le indagini e l’attività legislativa.

Il semplice incrocio di alcune telefonate non significa necessariamente che è stato commesso un reato.

È ovvio. Io non l’ho mai ipotizzato. Per di più, in tutte le mie relazioni, quasi fino alla noia, quando mi sono accorto che dietro un’utenza c’era un deputato o un senatore, ho segnalato al pm la necessità di chiedere l’autorizzazione al Parlamento. Questo ho scritto allo stesso modo per Prodi e per Mastella. Per il ministro della Giustizia, addirittura, si trattava di contatti telefonici indiretti e la pronuncia della Corte costituzionale, che è intervenuta dopo il deposito delle mie relazioni, ha pure sancito che non ce ne sarebbe stato nemmeno bisogno.

Del ministro della Giustizia, però, esistono più intercettazioni…

Il ministro Mastella è stato intercettato incidentalmente mentre parlava con Antonio Saladino, il principale indagato del presunto comitato d’affari sul quale si è concentrata l’attenzione di De Magistris. L’intercettato era Saladino, non il guardasigilli. E anche qui vale il ragionamento fatto prima per Prodi: se Mastella entra nell’inchiesta, è solo perché intrattiene rapporti con l’indagato. Queste frequentazioni sarebbe stato utile chiarirle, soprattutto nell’interesse del ministro, approfondendo il tutto, anziché inviare a De Magistris gli ispettori e togliergli il fascicolo nel momento clou dell’inchiesta. Io, come tanti, mi chiedo: chissà cosa sarebbe successo se fosse stato intercettato Silvio Berlusconi e se l’allora ministro Roberto Castelli, intercettato pure lui, avesse mandato gli ispettori per togliere l’inchiesta al pm che indagava su di loro. Ecco, è questa giustizia a due marce che non mi piace.

Mastella l’ha definita un «mascalzone». Altri esponenti politici, di centrodestra e di centrosinistra, ipotizzano che lei custodisca archivi con milioni di dati delicati.

Io non ho mai posseduto alcun superarchivio. Lavoro esclusivamente sui dati e sugli atti processuali che mi girano le procure, incrocio i risultati e traggo delle conclusioni che poi metto nero su bianco. Né più né meno di quello che fanno legittimamente i consulenti della difesa e gli avvocati, con i miei stessi dati e con gli interi carteggi dei processi. Questo procedimento va bene per far condannare all’ergastolo i mafiosi, per catturare i latitanti e i trafficanti di droga. Non va bene se spuntano nomi di politici o di ministri. Quanto a Mastella, doveva essere più cauto prima di definirmi un mascalzone, ipotizzando che sia stato io a divulgare determinati atti che lo riguardavano, quando ci sono le prove che sono stati altri, molto vicini alla difesa di indagati, che avevano ricevuto la copia di quella relazione dal tribunale del riesame.

Secondo i suoi detrattori, lei dovrebbe solo tradurre i dati, non interpretarli.

Io lavoro sulle carte, incrocio i dati e con questo aiuto i magistrati, a cui offro un quadro d’insieme, poi sono loro che mettono la firma in calce ai provvedimenti, fondati anche, e non solo, sulle risultanze dell’indagine informatica. Pensare che io non debba fare deduzione sui dati analizzati sarebbe come chiedere a un medico legale che ha eseguito un’autopsia di riversare sul tavolo del magistrato gli organi prelevati dal cadavere, senza alcuna considerazione sulle cause della morte.

Dica la verità: quante persone sono state intercettate in Why not? Quanti politici?

Non posso risponderle, visto che sono ancora vincolato al segreto. Posso solo dire, e sono sicuro di non sbagliarmi, che, nella storia giudiziaria italiana, si tratta dell’indagine che in assoluto può vantare il record del minor numero di intercettazioni. Aggiungo che le uniche intercettazioni disponibili non le aveva nemmeno disposte De Magistris. Capite, adesso, cosa è stato fatto credere per mesi agli italiani, pur di bloccare quelle indagini?

Vada per le intercettazioni, ma nelle inchieste di De Magistris avete acquisito centinaia di tabulati telefonici.

Premesso che io mi limito solo a eseguire i provvedimenti, posso garantire che non è così. Anche qui si gioca con i numeri e con i nomi. Le acquisizioni sono state disposte dal pm con assoluta oculatezza, tenuto conto delle fondamentali esigenze di riscontro. Non farlo e considerare per buone le accuse che venivano mosse, anche nei confronti di politici e uomini delle istituzioni, ritengo sarebbe stata la cosa più grave. Quanto, poi, alle utenze dei parlamentari, ribadisco che da un numero non si può stabilire in nessun modo che l’utenza è utilizzata dal parlamentare, specie quando questa è intestata a enti, società o persone diverse. L’assurdo è poi che se un parlamentare si intrattiene a conversare con un indagato, l’indagato e il parlamentare diventano le vittime e i mascalzoni sono il pubblico ministero e il consulente. Questo non è giusto, non foss’altro per il rispetto che è dovuto a quanti, grazie ai tabulati e alle intercettazioni, stanno scontando anni di carcere, senza che a loro favore si siano mossi politici e ministri gridando allo scandalo.

da “Panorama”, pag. 74-75, Attualità, di giovedì 27 dicembre 2007