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Dopo oltre cinque anni. Oggi le ultime richieste di accusa e difesa. E al processo si chiude l’istruttoria

Giornale di Sicilia - 13 gennaio 2004 - di Riccardo Arena

La disponibilità dell’imputato accorcia i tempi del processo Dell’Utri: proprio grazie al consenso prestato dal senatore, ieri mattina, il tribunale ha riammesso una consulenza informatica, prima estromessa dagli atti utilizzabili per la decisione. Il collegio ha così evitato una possibile, lunga sospensione, legata a una questione di costituzionalità preannunciata dai pm Antonio Ingroia e Domenico Gozzo. Era stato proprio Marcello Dell’Utri a dire di sì alla perizia (secondo lui «poco significativa») e così oggi potrebbe essere celebrata l’ultima udienza di una «istruzione dibattimentale» già durata cinque anni, due mesi e otto giorni.

Stamattina i pm Domenico Gozzo e Antonio Ingroia e l’avvocato Ennio Tinaglia, parte civile per conto della Provincia, da una parte; gli avvocati Roberto Tricoli, Enzo e Enrico Trantino, Giuseppe Di Peri e Francesco Bertorotta, dall’altra, faranno le ultime richieste. Difficile che qualcuno chieda di sentire il medico Salvatore Aragona, che si è proposto, con una lettera, per un’audizione. Così, dopo che il tribunale si sarà pronunciato, il presidente Leonardo Guarnotta potrebbe chiudere l’istruttoria e rinviare per la requisitoria dei pm. L’ultimo possibile ostacolo era costituito dalla questione legata all’applicazione del «lodo Schifani» nel processo: agli inizi di novembre, infatti, il tribunale aveva considerato incompatibile con i principi stabiliti dal «lodo» la consulenza realizzata dall’esperto informatico Gioacchino Genchi. In essa, infatti, venivano utilizzati — per ricostruire i presunti rapporti illeciti dell’imputato — i tabulati di utenze telefoniche in uso allo stesso Dell’Utri, che è parlamentare sin dal 1996. La legge che ha reintrodotto, nel nostro ordinamento, una serie di garanzie a favore dei membri del Parlamento e delle più alte cariche dello Stato, prevede invece che per questo tipo di acquisizioni si debba chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Di fronte all’estromissione della corposa documentazione fornita da Genchi, consistente in una serie di «incroci» di utenze e tabulati, fatti al fine di dimostrare rapporti «mafiosi» del senatore, la Procura aveva preannunciato di voler sollevare una questione di costituzionalità. Un’ipotesi del genere avrebbe potuto spostare la conclusione del processo anche alla fine dell’anno o oltre. A quel punto Dell’Utri ha fatto quello che gli stessi pm hanno definito il «beau geste»: «Voglio una sentenza in tempi brevi — aveva detto in aula — quale che essa sia. Do il mio consenso all’acquisizione degli atti». I suoi legali erano contrari, ma l’imputato non ha sentito ragioni.