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Il libro mastro del superboss

Sequestrati i locali dati in affitto a una ditta di informatica e a una compagnia di pullman. I bolognesi di "Mercatone Uno" non capirono la richiesta di pizzo e dissero: "Abbiamo già i vigilantes". In carcere Andrea Impastato e Filippo Lombardo: il primo portava i messaggi, l'altro era un prestanome - Un floppy disk incastra due uomini di Provenzano

Repubblica - 4 ottobre 2002 - di Salvo Palazzolo

Anche il capo della mafia paga le tasse allo Stato e cerca di essere un imprenditore modello nella gestione delle sue proprietà immobiliari disseminate per la città: un grande locale in via Principe di Belmonte, affittato a una ditta di informatica, e una palazzina in via Paolo Balsamo che ospita anche il bureau di una società di autolinee. Eccolo, l’ultimo volto dell’imprendibile Bernardo Provenzano, questa volta tradito dal computer del suo prestanome prediletto, Pino Lipari. Il sessantasettenne geometra dell’Anas era stato arrestato a gennaio e tutta la sua documentazione è finita all’ esame della Procura di Palermo. Tante carte ma soprattutto floppy disk: non è servita la proverbiale prudenza del manager per eccellenza della holding Provenzano, che di tanto in tanto ripuliva il suo Macintosh. La caccia ai segreti dei boss è stata tutta informatica e alla fine, in due file, ha svelato un altro pezzo del patrimonio mafioso. Le analisi, le parole e la contabilità di Pino Lipari sono state scoperte dall’esperto che ha collaborato con i pm Michele Prestipino e Marzia Sabella, il vice questore Gioacchino Genchi. I segreti erano nei meandri invisibili di un banalissimo floppy: inutile cancellare i file, una traccia resta comunque. «Ha ragione Provenzano a voler tornare ai bigliettini – sorride durante la conferenza stampa il procuratore aggiunto Guido Lo Forte – i crimini finanziari oggi si individuano più facilmente». Così mercoledì notte è scattato il blitz della squadra mobile: in carcere, su ordine del gip Gioacchino Scaduto, sono finiti Andrea Impastato, 54 anni, originario di Cinisi ma residente a Montelepre (via Circonvallazione 64), e Filippo Lombardo, 68 anni, di Misilmeri (corso Vittorio Emanuele 233). Il primo, messaggero di Provenzano; il secondo, prestanome di Lipari. Gli immobili erano intestati a Lombardo, che ne incassava gli affitti, ma i soldi andavano direttamente al capo di Cosa nostra. La caccia informatica è scattata subito dopo le perquisizioni in via Aquileia, a casa di Pino Lipari e dei suoi familiari, finiti anche loro in manette: la moglie Marianna, la figlia Cinzia, avvocato civilista, il figlio Arturo. Su una scrivania c’erano il computer, floppy disk e cd-rom. All’interno, migliaia di file. I magistrati li affidano a Genchi: è lui l’esperto informatico che ha indagato fra i misteri dei computer di Giovanni Falcone, inspiegabilmente manomessi dopo la strage di Capaci. Questa volta Genchi ha di fronte un manager mafioso con un volto ben preciso, Pino Lipari, e impara subito a conoscere le sue precauzioni: non c’è alcun documento importante nella memoria del computer e nei dischetti. La scelta del Macintosh appare subito non casuale: è un sistema operativo che rende difficile il recupero dei dati cancellati. Difficile ma non impossibile. In un floppy il consulente trova le tracce di alcuni bit che, fra tanti geroglifici e caratteri incomprensibili, racchiudono la sequenza di uno spool di stampa. Forse Lipari non è poi così esperto di informatica: non serve cancellare il documento dopo averlo stampato, una traccia resta comunque. I bit del dischetto vengono messi insieme uno per uno con sofisticati programmi, ed ecco apparire il lavoro del manager in due file predisposti nel luglio 2001: la contabilità degli affari leciti e illeciti, così come viene es posta a Provenzano. Da una parte la certosina indicazione degli affitti, con le spese per l’Ici, gli acconti e i saldi dell’Irpef. Dall’altra le raccomandazioni e il pizzo. C’è poi il capitolo delle spese sanitarie, che secondo gli inquirenti sarebbe una conferma delle non buone condizioni di salute di Provenzano. Il freddo tono della contabilità si trasforma presto nello slancio mistico tanto caro al boss latitante. Sono decine i file recuperati: in uno si parlerebbe anche di un’auto storica, una Lancia “Appia”, da regalare – è l’ipotesi su cui lavorano i magistrati – a un giudice romano. I primi documenti informatici sono comunque la svolta dell’inchiesta: la squadra mobile era già sulle tracce di «Andrea» e «Filippo», citati nelle intercettazioni ambientali attorno a Pino Lipari. L’imprenditore Andrea Impastato è un fidato postino di Provenzano, tramite fra il latitante e il suo geometra-manager. Aveva curato personalmente le «affettuose raccomandazioni» ai vertici bolognesi della catena “Mercaton e Uno”, per il pagamento del pizzo in Sicilia. Ma i manager dell’azienda forse non capirono il linguaggio mafioso e presero sul serio l’offerta di protezione, facendo sapere che avevano già i loro vigilantes. Lipari dovette così scrivere a Provenzano: «Nulla da fare per l’assunzione delle due persone che ti stanno a cuore». Filippo Lombardo è invece il braccio operativo dell’ex geometra nella gestione dei beni del capo di Cosa nostra. Si era dato un gran da fare per far fruttare gli immobili affidati alla sua gestione. Con il suo volto di insospettabile era riuscito a carpire la fiducia di alcuni ignari inquilini. In via Principe di Belmonte 92 aveva affittato alla Datacom, che detiene il marchio “Strabilia”. In via Paolo Balsamo 16-18 uno dei tre appartamenti dei boss era finito alla Sais autolinee. Il sequestro preventivo firmato dalla magistratura riguarda esclusivamente gli immobili e non le attività che vi si esercitano, del tutto estranee alle indagini. Per via Principe di Belmonte le casse di don Bernardo incassavano 5 mila euro al mese: in un’ intercettazione Lipari parla alla moglie dei «soldi di affitto di Belmonte», «cento e rotti milioni», e pensa bene di non fare affluire la somma sul conto del solito Santo Schimmenti, coinvolto in un’ inchiesta giudiziaria.