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L’allevatore ucciso a Lercara. Indagini su tabulati telefonici

Dalle intercettazioni viene fuori una misteriosa chiamata al presunto boss Salvatore Umina. Dovrà essere accertato chi compose il numero

Giornale di Sicilia - 23 maggio 2006 - di Riccardo Lo Verso

LERCARA. Spunta il nome di Salvatore Umina al processo per l’omicidio di Salvatore Lo Forte, l’allevatore di Lercara Friddi, ucciso tre anni fa, a colpi di pistola mentre era a bordo del suo fuoristrada.

Nuovi particolari arrivano dalla perizia sui tabulati telefonici svolta da Gioacchino Genchi, superesperto informatico della polizia. Sin dall’inizio delle indagini, il figlio della vittima, Francesco, raccontò di essere scampato al fuoco dei killer e di essersi rifugiato in una masseria. Da qui, poi, disse di avere avvertito i familiari che il padre era in pericolo, che dovevano correre ad aiutarlo. Dai tabulati telefonici emergono ora nuovi particolari, finora sconosciuti agli inquirenti perché mai riferiti prima. Dalla stessa utenza telefonica, ancor prima che squillasse il telefono di casa Lo Forte, partirono altre telefonate indirizzate ad un numero riconducibile a Salvatore Umina. Qualcuno, e si dovrà accertare chi è stato, chiamò quello che è ritenuto il capo mandamento di Vicari. Per quale ragione, dovranno accertarlo gli inquirenti alla luce dei nuovi scenari aperti dalla relazione di Genchi, acquisita dalla Corte d’assise.

Salvatore Lo Forte fu ucciso a colpi di pistola e di fucile il 21 settembre del 2003 nelle campagne di Lercara Friddi. Sotto processo ci sono Carlo, Salvatore e Pietro D’Amore, padre e due figli, tutti e tre detenuti. Francesco Lo Forte è il grande accusatore del processo. Secondo il suo racconto, ribadito in aula, i tre imputati gli avrebbero sparato addosso, mancandolo e uccidendogli invece il padre. Il tutto a volto scoperto.

Secondo la Procura ad armare la mano dei D’Amore sarebbe stato il sospetto che i Lo Forte avessero ucciso, due anni prima, un loro parente, Giuseppe D’Amore. I Lo Forte, padre e figlio, la mattina dell’agguato erano a bordo di una Toyota Land Cruiser, contro la quale, secondo il racconto del giovane, fecero fuoco i tre D’Amore nascosti dietro un cespuglio e a viso scoperto perché certi di non fallire l’obiettivo. Salvatore Lo Forte venne ferito, provò a scappare, ma i killer lo raggiunsero a trecento metri dall’auto. Francesco Lo Forte riuscì a fuggire dal lato opposto. Ebbe il tempo di guardare negli occhi, riferì in aula, uno dei D’Amore che gli spiegò il movente dell’agguato.

Una tesi sempre respinta dai legali della difesa. Gli avvocati Enzo Fragalà, Nino e Sal Mormino, Giovanna Rodi e Bianca Savona adesso parlano di fatti nuovi che potrebbero portare a dovere rivedere l’intero impianto accusatorio. La prossima udienza è fissata il sette giugno. I difensori, per quella data, potrebbero chiedere ai giudici del collegio presieduto da Salvatore Di Vitale, a latere Roberto Murgia, di sentire nuovi testimoni per chiarire quanto emerso dalla perizia di Gioacchino Genchi.

 

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