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«Non la penso come la procura. Per me non solo è possibile ma è probabile che questi controlli a strascico su politici e personaggi famosi il bancario di Bitonto li abbia veramente fatti perché ha qualche disturbo psicologico». L’ex poliziotto Gioacchino Genchi (nella foto) nella storia recente dell’Italia è il perito informatico per eccellenza. Oltre che, suo malgrado, grande esperto di dossier e collezione dei dati, essendo stato accusato di aver messo su «archivi segreti» che poi si sono dimostrati inesistenti. Ma Genchi, che oggi fa l’avvocato, resta una vera autorità in materia, avendo collaborato con procure e pm di mezza Italia, a cominciare da Giovanni Falcone.
Oltre a difendere Carmelo Miano, il giovanissimo hacker che ha frugato tra le email di tre procure e le pec del ministero della Giustizia. Sulla storia del funzionario spione di Intesa Sanpaolo il suo pensiero, come spesso accade, non è allineato. A cominciare dai motivi della recente popolarità del dossieraggio contro i politici.
«Le ragioni sono due», spiega Genchi al Giornale. «La prima è che questa vicenda, il caso Striano e il caso Miano dimostrano l’estrema semplicità con la quale si può accedere a questi dati per spiare e poi cercare di colpire gli avversari politici». E la seconda, prosegue Genchi, è che «appunto, non riuscendo a trovare qualcosa per attaccare questi avversari, chi ha interesse a farlo si mette a cercare sotto le lenzuola per fare breccia politica in modo non democratico ma sovversivo». Insomma, conclude l’esperto informatico, «non si attacca Meloni per la sua politica estera o economica, ma magari per vicende, come quella dell’ex compagno, nelle quali lei nemmeno c’entra». O facendola sentire sotto costante controllo, anche in ambiti e per dati che pure, per definizione, sono «privatissimi». «E di certo – conclude il legale ed ex perito – una maggioranza di governo che è l’espressione del voto popolare non può essere sovvertita dal gossip, dalle spiate o dalle scaramucce giudiziarie». È evidente che non essendovi nemmeno riusciti, ora si punta a farle perdere la calma, creandole un permanente stato ansia e paura, costringendola a modificare le proprie abitudini di vita, come avviene nei più comuni casi di stalking.
L’ultimo caso, continua Genchi, ha messo sotto la luce del sole la debolezza dei controlli. Per lui, Coviello è «più probabilmente un soggetto con gravi disturbi che un criminale», ma anche se avesse agito da solo, lo ha fatto senza incontrare ostacoli per troppo tempo. «Non comprendo – dice Genchi – come sia possibile che questa frenetica attività abusiva, compiuta con le sue credenziali ma evidentemente non per motivi legati al suo lavoro, non abbia sollevato alert, e perché – se invece li ha sollevati – questi allarmi non siano finiti sulla scrivania di qualche dirigente». Permettendo a Coviello di insistere nei suoi accessi abusivi, frugando indisturbato per anni nei dati anagrafici e finanziari delle più alte cariche dello Stato, seppure solo per sé stesso.
Sempre che qualcuno che sapeva del «vizietto» del funzionario e che magari fosse in possesso delle sue credenziali, vien da pensare, non abbia voluto approfittarne, usando gli accessi del funzionario per «nascondere» i suoi accessi e i suoi controlli, condotti con moventi forse meno naïf. Ipotesi di fronte alla quale l’esperto di sicurezza informatica si limita a stringersi nelle spalle.
«Quello che penso è che sia necessario prevedere delle garanzie più strette anche in ambito bancario per regolare gli accessi a dati personali così sensibili. D’altra parte consultazioni massive e accessi multipli e ingiustificati su un singolo nominativo dovrebbero già adesso portare a un controllo immediato dell’anomalia». Cosa che è avvenuta, visto che Intesa Sanpaolo a inizio anno ha «stoppato» il suo ex dipendente, ma solo due anni e due mesi dopo i primi abusi. «Manca in Italia una cultura specifica, che veda investire sulla sicurezza dei sistemi informatici almeno quanto si investe nello sviluppo degli stessi», chiosa Genchi. Che poi ricorda un precedente in cui è stato protagonista. «Qualche anno fa – spiega – ho difeso un funzionario siciliano proprio di questa stessa banca. Era accusato di aver rivelato notizie inerenti la sicurezza dello Stato, in quanto avrebbe ceduto a due giornalisti nominativi e movimenti bancari di personale della nostra intelligence. Lui, però, non c’entrava. Tant’è che i due giornalisti sono stati assolti e la sua posizione è stata archiviata».
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