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PALERMO – È un teste chiave per la difesa, ma nel frattempo è stato espulso dall’Italia e rimpatriato in Tunisia. Il processo è quello che vede imputato il ginecologo Biagio Adile, sospeso dall’incarico di primario che ricopriva a Villa Sofia, dopo la denuncia di una tunisina di 28 anni.
La donna, parte civile con l’assistenza dell’avvocato Michele Calantropo, ha registrato un file audio durante la presunta violenza e lo ha consegnato agli inquirenti. Secondo il legale dell’imputato, l’avvocato Gioacchino Genchi, però, Adile sarebbe rimasto vittima di un piano calunnioso. E adesso Genchi ha l’onere di scovare il testimone che nel frattempo è stato allontanato dall’Italia perché coinvolto in un’inchiesta sul contrabbando di sigarette.
La donna era arrivata in Sicilia da “clandestina” per curarsi. Adile l’ha aiutata, ma poi l’avrebbe palpeggiata e costretta a un rapporto orale. La prima volta in ospedale e la seconda nello studio privato del medico che avrebbe costretto la donna ad un rapporto orale. Le parole di quella sera sono rimaste impresse in un file file del telefono della giovane donna. Si sente il medico ansimare e raggiungere l’orgasmo mentre pronuncia frasi il cui senso appare inequivocabile.
L’avvocato Genchi, è andato al contrattacco. Ritiene che un amico della donna, il tunisino Aymen Ouafi, abbia più di qualche responsabilità in quello che definisce un piano per incastrare il ginecologo. L’uomo era già stato sentito in fase di indagini preliminari, ma ora la difesa lo ha citato in aula. La sua testimonianza, ritenuta necessaria dal giudice Lorenzo Matassa, è fissata per il 20 gennaio.
Secondo il legale, l’uomo avrebbe “tentato di estorcere all’imputato con minacce di denunce e divulgazioni mediatiche di asserite videoriprese dei rapporti sessuali la falsa certificazione di asportazione dell’utero, dopo che l’imputato si era ripetutamente rifiutato di praticare alla denunciante la pretesa isterectomia vaginale e dopo l’ulteriore rifiuto di rilasciare in suo favore una falsa certificazione medica che ne attestasse l’intervento, ai fini del riconoscimento in favore della donna del 100% di invalidità civile e della fruizione dei benefici previsti dalla legge oltre che del correlato permesso di soggiorno in Italia per ragioni umanitarie e per motivi medici e di salute”.
La difesa si dice di potere smascherare le presunte bugie dei due tunisini attraverso l’analisi dei loro contatti telefonici. C’è un particolare su cui punta più di altri il legale: “La parte offesa dopo la prima asserita violenza sessuale del pomeriggio ha ripetutamente cercato di mettersi in contatto con l’imputato e si è volontariamente recata da lui il pomeriggio del giorno successivo col proposito di essere nuovamente violentata”. Come dire, il rapporto sarebbe stato consensuale e l’avrebbero denunciato come frutto di violenza.
“Che il rapporto sessuale non sia stato consenziente – taglia corto Michele Calantropo, avvocato della donna – è chiaro a tutti perché è emerso nel corso di tre drammatiche testimonianze. Il processo si basa su questo dato, che non può essere scalfito dai contatti telefonici che nulla provano”.
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