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Delitto Portinaio, la confessione snobbata

Il carabiniere Di Maio conferma che uno dei killer gli rivelò la verità: "Era un tossicomane, non gli credetti"

Repubblica Palermo - 15 marzo 2006 - di Alessandra Ziniti

«Sì, è vero: Ivan me lo disse, ma non gli ho creduto, anche perché subito dopo si rimangiò tutto. Aveva problemi di alcool da quando aveva tredici anni, poi di cocaina, insomma non era una persona affidabile, e così non diedi peso alle sue parole». Il carabiniere che, subito dopo il delitto del libraio Livio Portinaio, ricevette la confessione di uno dei due killer, Ivan Sestito, ma non ne parlò mai con nessuno ha cercato di spiegare ieri in aula alla Corte d’assise perché non ritenne di fare una relazione di servizio sulla confidenza ricevuta, lasciando che l’omicidio rimanesse un caso irrisolto per mesi e mesi. E, attraverso le sue risposte alle domande del pm Maurizio Agnello, si è scoperto che per il carabiniere Di Maio il “tossico” Ivan Sestito, oltre che un amico, era di fatto anche una sorta di confidente che, con le sue dritte, gli aveva permesso in passato di arrestare qualche spacciatore.
Di Maio ha finito comunque con il confermare la versione dei fatti fornita dal killer pentito Ivan Sestito. Versione che ha trovato un altro puntello nella deposizione di Gioacchino Genchi, l’esperto informatico che ha effettuato la perizia sul telefono di Maurizio Gentile, accusato di aver materialmente ucciso il libraio per portargli via dei soldi dopo averlo abbordato in un pub. Sestito ha raccontato che – dopo il delitto – Gentile si fermò a una cabina pubblica per fare una telefonata e che poi ne ricevette una sul cellulare intorno all’una di notte. Circostanza confermata da Genchi. La Telecom non è stata in grado di fornire l’esatta posizione del cellulare in quel momento, ma sicuramente in provincia di Palermo, ha detto Genchi, smentendo così Gentile che aveva sempre raccontato di essere stato fuori città.