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Cosa accadde quella notte?

"Delirio Erotico" e "Totale infermità mentale" non sono che l'inizio della storia - Colpo di scena nalle indagini sugli "amanti diabolici", coinvolti nell'omicidio di un uomo avvenuto nel 2004 - Una chiazza trovata sulla trapunta con cui ai tempi fu coperto il cadavere e trattata come "organica" sarebbe in realtà una macchia di sangue appartenente a un familiare della vittima, mai sospettato

Cronaca Vera - 21 giugno 2006 - di Gigi Montero

PALERMO – Quando lo avevano trovato sdraiato vicino al letto, un coltello da cucina al fianco, Giuseppe Lo Cicero, 47 anni, aveva il cranio sfondato (vedi “Cronaca Vera” n. 1652). Qualcuno si era accanito su di lui dopo avergli fallo tre iniezioni di valium e una di veleno. E ancora, non prima di aver tentato di soffocarlo con un sacchetto di plastica intorno alla testa e di strangolarlo con le mani e con la cintura dell’accappatoio. Era la nove del 15 aprile del 2004.

Questa settimana ci sarà l’incidente probatorio davanti al gip Antonella Consiglio della coppia ribattezzata ”gli amanti diabolici”: Elena Smeraldi, 53 anni, moglie della vittima, e Gianfilippo Marolla, 51, dipendente della cooperativa dei due coniugi. Perché cosa accadde quella notte è ancora tutto da stabilire. Soprattutto dopo la sconcertante notizia che sul luogo del delitto il Racis ha trovato anche una nuova macchia di sangue, rinvenuta sulla trapunta che copriva il cadavere e inizialmente confusa con una macchia organica, che invece apparterrebbe a un familiare stretto di Lo Cicero.

Strano ripensamento

Ai tempi dell’omicidio furono i due presunti colpevoli a raccontare tutto agli inquirenti, cambiando versione dei fatti e accusandosi a vicenda. Alla fine il pm Antonio lngroia arrestò entrambi. Lei, da quel momento tacque. Lui, invece, rilasciò altre dichiarazioni. Ma le cose che non tornano sono ancora troppe. Quattro mesi dopo il loro arresto, Gianfilippo Marotta raccontò in una lettera al suo avvocato Angelo Rossi:«Io di quella donna mi ero invaghito, infatuato, ma non l’ho mai dimostrato, poiché sarei andato incontro a seri guai».

Disse di non aver ucciso proprio nessuno, e di non aver mai nemmeno dato un bacio a Elena (inizialmente sembrava che il loro amore fosse reciproco), ma di essersi autoaccusato dell’omicidio per non vederla andare in galera perché l’amava troppo. Sottoposto a perizia psichiatrica, l’incaricato del gip rivelò in lui un “delirio erotico” e una totale infermità mentale. Una conclusione con cui il perito che chiese il pubblico ministero Antonio Ingroia non si disse d’accordo.

Poi il 30 marzo del 2005, Elena Smeraldi si decise a parlare: «Gesù Cristo sa la verità!… Mi sottoponga alla macchina della verità!», giurò davanti al pm. In sostanza sostenne di essere stata lei, la mattina del 14 aprile, a licenziare Marotta, furiosa del fatto che lui dicesse a tutti che voleva averla. La sera, dopo cena, il marito era già a letto prima ancora di mettersi a tavola, ed Elena ci ripensò. Telefonò a Marotta e gli disse di venire a casa per chiarire. Prese del valium e si addormentò: «Poi ricordo soltanto l’immagine dell’espressione molto agitata del Marotta che mi diceva queste parole: “Aiutami, aiutami! Tuo marito è venuto col coltellaccio e tu gli hai dato lo statua in testa”», raccontò.

Esame tossicologico

Marotta, vendicativo, sarebbe entrato in casa usando le chiavi che al Capodanno precedente gli aveva dato Lo Cicero per curare il cane durante le vacanze. Un cane rubato un anno prima che il legittimo proprietario riconoscerà nel servizio del telegiornale sul delitto.

L’esito dell’esame tossicologico sul cadavere spiegò che il DDT trovato nel sangue della vittima in realtà era topicida. Inoltre, dagli esami del Racis risultarono presenti sulla cena del crimine cinque persone diverse che avevano fumato altrettante sigarette. La Procura ordinò nuovi prelievi sugli indagati, nel frattempo usciti di prigione per decorrenza dei termini, per confrontarne il Dna con quello rinvenuto sui reperti. Lei accettò lui no, e i carabinieri si arrangiarono con lo spazzolino che gli trovarono in casa. Entrambi cambiarono i loro avvocati.

Dal pm era partita una richiesta al superconsulente della Procura Gioacchino Genchi per controllare i cellulari e i tabulati telefonici di tutte le persone che la sera precedente al delitto entrarono in quella casa, per vagliarne alibi e spostamenti. Ora servirà per far luce sul più inaspettato dei colpi di scena, quello della misteriosa macchia di sangue trovata sulla trapunta.

 

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