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Il consulente di de Magistris: tendevano una trappola a Prodi

Corriere della Sera - 9 novembre 2007 - di Carlo Vulpio

PALERMO — «A Romano Prodi stavano tendendo una trappola». «Clemente Mastella deve solo chiedermi scusa». A parlare così, per la prima volta, è Gioacchino Genchi, vicequestore in aspettativa, 47 anni, consulente del pm Luigi de Magistris nell’inchiesta Why Not, che vede indagati anche Prodi e Mastella e che gli è stata revocata dal procuratore generale reggente di Catanzaro, Dolcino Favi.

Nella sua relazione, diffusa da Radiocarcere, si legge di una «trappola» a Prodi. Di cosa si tratta?

«Senza dubbio, ben al di là del fatto tecnico dell’iscrizione di Prodi, il modo stesso in cui è stata propalata la notizia si è rivelato un chiaro tentativo di strumentalizzare l’indagine. Il balletto delle smentite e delle conferme ha dato delle indagini e della magistratura un’immagine desolante. Prodi lo ha capito, e infatti le sue reazioni sono state più misurate e intelligenti. A differenza di quelle di Mastella».

Sì, ma concretamente cos’era questa «trappola»?

«Antonio Saladino voleva un’intervista da Prodi. E voleva che a farla fosse Renato Farina (di Libero, ndr). Per ottenere l’intervista, Saladino ha insistito a lungo con il suo amico Sandro Gozi (deputato della Margherita e tra i collaboratori di Prodi, anch’egli indagato in Why Not, ndr). E’ evidente lo scopo, no?».

Mastella invece l’ha chiamata Licio Genchi e sostiene che lei ha un archivio di dati da far paura, pericoloso per la democrazia.

«Mastella dovrebbe solo chiedere scusa. Perché ha aggredito quelli che istituzionalmente erano preposti a tutelare anche la sua funzione e la sua persona. Ha detto cose non vere e ingiuste. La verità è che l’inchiesta di Catanzaro ha scoperchiato l’inverosimile. E a questo punto è scattato chi ha cercato di strumentalizzare l’inchiesta per poterla neutralizzare».

Si riferisce alla vicenda dei tabulati telefonici delle più alte cariche istituzionali che, secondo chi la critica, lei avrebbe acquisito illegalmente?

«Appunto. Una falsità. Pericoli di questo tipo possono venire solo da chi i tabulati li detiene, e cioè dalle compagnie telefoniche, gli unici destinatari delle richieste dell’autorità giudiziaria. E così è avvenuto anche per le inchieste di Catanzaro».

E quindi…

«E quindi 2 + 2 fa 4: chi ha saputo (o ha visto) che c’erano i propri numeri ha pensato bene di “unire” a quei numeri anche quelli di un bel po’ di nomi importanti. Nomi che non c’erano e non ci sono mai stati».

Quali nomi?

«Beh, per esempio il capo della Polizia De Gennaro, i magistrati di Milano e Roma Spataro e Di Leo, il presidente del Senato Marini, il ministro dell’Interno Amato, il prefetto De Sena, i capi di Sisde, Sismi e Antiterrorismo. Lo scopo è chiaro: screditare me e de Magistris perché è ovvio che di fronte a una cosa del genere chiunque reagirebbe indignato».

Anche le fughe di notizie, dunque, risponderebbero a questa finalità?

«Certo. E anche gli attacchi frontali a me e al pm da parte di giornali come Libero, Il Velino, Calabria Ora. Ma questo è ancora materia di indagine e presto si vedrà chi è in buona fede e chi no».

Il senatore Giancarlo Pittelli (indagato in Why Not, ndr) lamenta che lei, Genchi, abbia «monitorato» oltre il lecito il suo cellulare e le sue conversazioni. E’ vero?

«Il cellulare di Pittelli non recava le sue intestazioni anagrafiche ma solo un numero di partita Iva. E di sicuro la prima cosa che uno pensa non è che un parlamentare emetta fattura. Ma poi, al di là del numero delle schede che Pittelli o chiunque possa utilizzare, immaginiamo il caso di un parlamentare che si intesti alcune decine di schede e che con le medesime usi una cinquantina di cellulari con un centinaio di altre schede intestate ad altri… Che facciamo, non indaghiamo più su nessuno? Nemmeno se troviamo quei numeri nel cellulare smarrito dai killer di un duplice omicidio?».

Quindi niente intercettazioni illegali e solo tabulati, su esclusivo incarico dell’autorità giudiziaria?

«Guardi, i tabulati vengono richiesti per riscontrare attività processuali. Non si può sapere in anticipo di chi è il cellulare. I parlamentari, poi, non hanno numeri speciali come i ferrovieri, i carabinieri o la polizia».

Ma il procuratore generale reggente di Catanzaro, Dolcino Favi, non le ha revocato l’incarico perché pensa che lei abbia accumulato troppi dati sensibili?

«Di questa revoca mi offende il modo. Mandarmi sei ufficiali del Ros per notificarmelo, tutta questa scena. Per il resto, ne sono quasi contento, Favi mi ha tolto da un impiccio serio».

E all’estero, non ha portato niente? Nemmeno un server piccolo piccolo?

«Favole. All’estero non ho né server, né carte segrete, né conti correnti. Ma poi, scusi, chi dice queste cose non sa nemmeno cos’è un server, i cui indirizzi sono controllati dall’Autorità di certificazione del Cnr. Nel nostro caso, parliamo di dati riservati e accessibili solo da parte dei magistrati con procedure di sicurezza molto più efficaci di quelle di banche e ministeri».

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