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Caccia al tesoro di Provenzano, i suoi segreti in un computer

Palermo, scoperti per caso decine di files nascosti. Proprietario anche di un locale nel cuore della città Prima dell'annuncio del suo pentimento in carcere si presentò stranamente il latitante Sansone. Coincidenza? Nessuno ci crede C'è anche l'ipotesi di corruzione di un magistrato da parte dei boss attraverso l'acquisto di un'auto storica

Repubblica - 4 ottobre 2002 - di Francesco Viviano

PALERMO – Affari, fede e famiglia (la propria e quella mafiosa) sarebbero i principi attorno ai quali ruoterebbe la vita dell’imprendibile Bernardo Provenzano, il capo dei capi di Cosa nostra latitante da quasi 40 anni. L'”intimo” e gli affari di Provenzano sono stati svelati casualmente dando la caccia al patrimonio del boss corleonese, nascosto nel freddo cuore di un computer che conteneva decine di files «invisibili» in uso al «ragioniere» di Bernardo Provenzano, Pino Lipari. Lipari, che curava gli affari del capo di Cosa nostra, in quei files annotava tutte le “entrate” e le “uscite” di questa parte di patrimonio che ieri è stata sequestrata dalla Procura di Palermo e dalla Squadra Mobile. La polizia ha arrestato due prestanome del capomafia, Andrea Impastato e Filippo Lombardo. Ai due prestanome di Provenzano erano intestati locali ed appartamenti di proprietà di Bernardo Provenzano che per diversificare il suo patrimonio avrebbe investito decine di milioni di euro nell’acquisto di beni immobili e terreni. Uno dei locali di oltre 300 metri quadrati lo aveva comprato proprio nel salotto della città, in via Principe di Belmonte, una zona pedonale frequentatissima da palermitani e turisti affittandolo a 5 mila euro al mese ad uno dei più grandi negozi di cellulari e computer del capoluogo siciliano. A scoprire il tesoro nascosto nei file del computer del «ragioniere» di Provenzano è stato un vicequestore della polizia, Gioacchino Genchi, consulente informatico della Procura di Palermo. Provenzano che per non essere «intercettato» dalle sofisticate tecnologie degli investigatori, comunica soltanto con «pizzini» (piccoli biglietti) evitando rigorosamente di utilizzare telefoni fissi e cellulari, non si sarebbe mai aspettato che parte del suo patrimonio venisse «conservato» proprio dentro un computer. La caccia e la successiva scoperta del patrimonio del boss corleonese parte infatti dal sequestro di un paio di computer di Pino Lipari (un geometra dell’Anas arrestato nei mesi scorsi e che gestirebbe anche i beni degli altri due corleonesi, Totò Riina e Leoluca Bagarella) e di cd rom e floppy disk trovati nel suo ufficio ed in quello della figlia, anche lei arrestata e poi ritornata in libertà. Il perito informatico della Procura ha portato però a galla i file nascosti e si è scoperto che il boss corleonese era proprietario di numerosi immobili, che pagava regolarmente le tasse, comprese Ici e Irpef. Tra i files sarebbe stato scoperto anche il tentativo di corruzione nei confronti di un magistrato da parte dei boss di Cosa nostra attraverso l’ acquisto di un’ auto storica. In una delle missive si fa riferimento all’acquisto di una Lancia Appia da “regalare” probabilmente a un giudice che lavora a Roma. Quasi tutti gli immobili erano intestati a Filippo Impastato mentre i terreni a Filippo Lombardo, entrambi incensurati e quasi insospettabili. Altri file nascosti hanno anche svelato l’ attività mafiosa di Bernardo Provenzano che con Lipari intrattiene una fitta corrispondenza relativa all'”incasso” delle estorsioni a piccole e grandi aziende, a persone da raccomandare per essere assunti anche nelle ditte costrette a pagare il pizzo. E tra la corrispondenza portata alla luce anche una lettera di Lipari a Provenzano dove si evince chiaramente che il boss corleonese dedica tanto tempo alla lettura della Bibbia imparando a memoria interi brani uno dei quali è citato in una precedente lettera spedita da Provenzano.