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Feci canine lasciate nella scala condominiale e non raccolte. Un poliziotto aggredito e il suo cellulare distrutto perché aveva chiesto ai proprietari del cane un po’ di decoro. Sono i fatti oggetto del processo che si è svolto oggi davanti alla seconda sezione del Tribunale di Palermo. Il giudice monocratico Maria La Scala ha condannato Giovanni Barbagallo di 75 anni e Carlo De Caro di 53 anni a sei mesi di reclusione ciascuno, oltre al risarcimento danni da liquidarsi in sede civile e le spese processuali quantificate in 3.592 euro in favore della parte civile, che si è costituita mediante l’avvocato Gioacchino Genchi. Assolta Loredana Barbagallo di 49 anni, difesa dall’avvocato Corrado Sinatra.
Fabrizio La Mantia, assistente capo della Polizia di Stato, il 1° novembre 2016 era in procinto di recarsi in servizio presso l’Ufficio Prevenzione Generale della Questura di Palermo, indossando l’uniforme, quando è stato aggredito dapprima verbalmente dalla signora Loredana Barbagallo, figlia del proprietario dell’appartamento nel quale, all’epoca dei fatti, risiedeva il poliziotto. La ragione di tale diverbio veniva ricondotta ad alcune feci canine continuamente rinvenute sulla scala condominiale, tale da determinare, in quella occasione, un rapido scambio di battute tra quest’ultimo e la signora Barbagallo. Infatti, mentre secondo quest’ultima le feci erano riconducibili al cane della vittima, La Mantia replicava “che le feci appartenevano al cane del padre (un chihuahua di nome Sasha), in quanto è libero di girare all’interno del palazzo e di fare i bisogni dove vuole”, constatando che il proprio cane invece non girava in libertà per il residence di cui faceva parte la palazzina in cui si sono svolti gli eventi.
Terminato questo acceso scambio di battute, La Mantia si dirigeva verso l’uscita della palazzina, dove, proprio davanti il portone, trovava Giovanni Barbagallo e Carlo De Caro, rispettivamente padre e marito della signora Barbagallo. Pertanto, pienamente consapevoli della breve discussione precedentemente intercorsa tra la moglie e La Mantia, dovuta al fatto che il portone d’ingresso dinanzi al quale stavano sostando fosse aperto, il De Caro, esprimendo diverse frasi offensive in dialetto palermitano, si avventava contro La Mantia, spingendolo violentemente e colpendolo con ripetuti pugni all’addome.
La Mantia, mentre veniva aggredito dai due, con estrema sagacia, riusciva a chiamare il 113 con il proprio cellulare, mentre gli aggressori e la figlia, frattanto sopraggiunta, lo spintonavano con violenza verso l’uscita della palazzina, continuando a sferrargli dei pugni alla schiena e schiacciandogli il telefono cellulare, intimandolo di andarsene, altrimenti lo avrebbero ucciso: “Di ca ti na gghiri, si no t’ammazzamu!”.
Preso atto dell’imminente arrivo delle forze dell’ordine, uno degli aggressori, il Barbagallo, istruiva la moglie circa la necessità di mentire ai pubblici ufficiali, fingendo di aver ricevuto da La Mantia ben “due pugni in faccia”, in modo da cercare di giustificare maldestramente l’aggressione con l’ampiamente noto istituto della legittima difesa. Dopo però, ravvedutosi immediatamente dalla possibilità di far proferire alla moglie false dichiarazioni, la invitava piuttosto a ritirarsi in casa. Comprendendo tali intenzioni, La Mantia, come già detto operatore di polizia e quindi esperto sulle regole d’ingaggio e di primo intervento, invitava i presenti a non allontanarsi, suscitando l’ulteriore reazione di De Caro, il quale, con fare aggressivo, esclamava: “Iu sugnu ra penitenziaria e fazzu nzocchi vogghiu!”, senza peraltro qualificarsi formalmente in alcun modo, non mostrando quindi la propria tessera o placca di servizio.
Successivamente, la vittima cercava di avvicinarsi al cancello di ingresso del residence al fine di rendersi visibile ai colleghi in arrivo. A questo punto Barbagallo continuava nel suo intento, ostacolando l’allontanamento di La Mantia seguendolo e spingendolo da dietro, mentre la figlia e il marito lo seguivano a bordo di un’autovettura modello Ford Kuga. Ad ogni modo, una volta giunti davanti al cancello, De Caro fermava la marcia dell’autovettura e La Mantia sentiva i due coniugi gridare fra di loro, mentre la moglie cercava in tutti i modi di trattenere il marito che, uscito dall’autovettura e aperto il cofano, gridava a gran voce: “Ora lo ammazzo, pigghiu a pistola e l’ammazzo!”.
Una versione dei fatti confermata in sede dibattimentale dalla vittima, in quanto non solo esposte con la dovuta perizia ed accuratezza derivante dal ruolo che ricopre presso la Polizia di Stato, ma soprattutto perché esattamente corrispondenti anche alle annotazioni di polizia giudiziaria, redatte da coloro che, a seguito della segnalazione della sala operativa del 113, per primi si sono recati sui luoghi, constatando che l’agitazione degli aggressori si è riversata anche sulle forze dell’ordine, le quali hanno riscontrato non poche difficoltà ad espletare il proprio intervento.
La Mantia, per i forti dolori in varie parti del corpo, terminato l’intervento dei colleghi sopraggiunti, si portava – con l’ausilio della volante – al pronto soccorso dell’Ospedale Civico di Palermo, il cui medico di turno conferiva la diagnosi di 25 giorni di prognosi, dovuti ad “infrazioni della decima costa destra e policontuso”. A ciò va aggiunta una prognosi integrata di ulteriori 14 giorni, conferita il successivo 26 novembre, a seguito di visita medico legale dell’Ufficio Sanitario Provinciale della Questura di Palermo, dovuti a “postumi algodisfunzionali di contusioni multiple ed infrazione della X costa di destra”.
Eppure gli aggressori avevano denunciato il poliziotto invertendo la versione dei fatti, arrivando persino ad opporsi alla richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero. Tuttavia all’esito dell’udienza camerale il gip, con decreto del 24 gennaio 2020, ha disposto l’archiviazione del procedimento penale a carico di Fabrizio La Mantia rilevando “che le dichiarazioni delle persone offese non hanno trovato riscontro nel referto medico del Barbagallo che si limitava ad accertare la persistenza di uno sbalzo pressorio e non di ecchimosi al volto”. Inoltre, “le dichiarazioni delle persone offese non appaiono superare il vaglio dell’attendibilità intrinseca tenuto conto delle lesioni subite dall’odierno indagato che come risulta dall’annotazione di P.S. del 1.11.2016 a seguito del diverbio con gli odierni opponenti ha riportato l’infrazione della decima costa e policontusioni risultate guaribili in giorni venticinque”. “Ritenuto, altresì, che le indagini indicate dalla persona offesa nell’atto di opposizione, non appaiono rilevanti, in ragione dei dubbi già evidenziati sull’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni delle persone offese, anche tenuto conto del fatto che non hanno sporto querela immediatamente dopo il fatto lamentato”.
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