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Si è tenuto oggi, 8 aprile 2022, presso la “Sala delle Lapidi” del Palazzo delle Aquile di Palermo, l’incontro “40 anni della legge Rognoni-La Torre”.
L’evento è stato introdotto dal Sen. Carmine Mancuso, presidente dalla “Associazione per onorare la memoria dei Caduti nella lotta contro la mafia”. Relazioni a cura del dott. Antonio Balsamo, Presidente del Tribunale di Palermo, del prof. Francesco Callari, docente di Ordinamento giudiziario di Unipa, dell’avv. Nino Caleca, penalista e dell’avv. Gioacchino Genchi, penalista.
Interventi del dott. Leopoldo Laricchia, Questore di Palermo, del dott. Vincenzo Terranova, Presidente della Corte d’Assise di Palermo, dell’avv. Giuseppe di Stefano, Presidente “Unione Ordini Forensi di Sicilia”, del dott. Marco Romano, direttore “Giornale di Sicilia”, dell’avv. Antonello Armetta, Presidente del “Consiglio Ordine degli Avvocati” di Palermo e del dott. Leonardo Agueci, già Procuratore Aggiunto di Palermo.
L’incontro, organizzato dalla “Associazione per onorare la memoria dei Caduti nella lotta contro la mafia” e dalla Presidenza del Consiglio Comunale di Palermo, vede la collaborazione di “Partecipa Palermo”, della “Associazione internazionale Joe Petrosino”, della “Unione degli Ordini Forensi di Sicilia” e della Presidenza nazionale della “A.N.S.I.”, è stato moderato dal dott. Lillo Miceli, giornalista.
Sintesi dell’intervento dell’avv. Gioacchino Genchi, penalista:
Se le “misure di prevenzione”, tanto quelle personali che patrimoniali, potevano avere una loro validità nei tempi in cui le indagini e i processi di mafia naufragavano nelle legittime suspicioni e si concludevano con le assoluzioni per insufficienza di prove, lo stesso non può dirsi nell’epoca in cui viviamo.
La legislazione vigente necessita di una urgente messa a punto, anche per adeguarla alle moderne dinamiche che, anche grazie all’’utilizzo delle nuove tecnologie, regolano il governo dell’economia, con la possibilità di attuare moderni sistemi di controllo elettronico in tempo reale, tanto dei patrimoni e dei flussi finanziari, che dei soggetti ritenuti “pericolosi”.
Altro aspetto di primaria importanza, per il quale è imprescindibile un urgente intervento del legislatore, riguarda le modalità di gestione dei patrimoni e delle attività economiche presuntivamente ritenuti di provenienza e di formazione illecita, tanto nella fase di gestione dei sequestri, che nelle fasi successive alla loro confisca.
Delle procedure giudiziarie come quelle delle “misure di prevenzione”, che muovono dal presupposto di presunte condotte illecite, non possono dar luogo, nella loro gestione, a delle attività illecite ancora più gravi di quelle che si voleva prevenire e reprimere.
Inoltre, così come la realizzazione di un acquedotto mira a risolvere la crisi idrica di una data comunità, le “misure di prevenzione” mirano ad assicurare legalità all’economia e alla società.
Per questo devono esser gestite con oculatezza e trasparenza, per evitare che, come è capitato per certi acquedotti, servano più a dare da mangiare che da bere.
Lo Stato in prima persona, con i propri apparati, che per questo devono essere adeguatamente preparati ed istruiti, deve assumersi in via esclusiva il controllo dei patrimoni mafiosi sin dal momento del sequestro, evitando il dispendio di ingenti risorse economiche per pagare lucrose parcelle ad amministratori giudiziari – in taluni casi scelti e incaricati sulla base di criteri di assai dubbia correttezza – che, ormai, in troppe occasioni, hanno dimostrato il peggio del loro operato, a partire dalla gestione scellerata dei patrimoni e delle aziende sottoposte a sequestro (nella stragrande maggioranza dei casi portate in decozione), fino alla commissione di gravissimi illeciti, talvolta pure in concorso con i magistrati che li avevano nominati e la polizia giudiziaria che aveva eseguito i sequestri.
Quanto alla fase successiva al sequestro, ove venga disposta la confisca, i patrimoni, le aziende e le attività economiche di provenienza illecita devono essere assolutamente riconvertiti e reinseriti nel circuito dell’economia legale, anche mediante affidamento e alienazione ai privati o a società. Il tutto sotto il diretto è accurato controllo dello Stato.
In tale contesto, va bandito uno dei più assurdi luoghi comuni di certa pseudo “antimafia” dei venditori di fumo (e non solo…), che ha imperato per oltre 30 anni, sostenendo che la vendita dei beni dei mafiosi ai privati deve essere evitata per impedire che gli stessi mafiosi possano riacquistarli.
A parte la possibilità e la necessità (ovvia) di eseguire adeguati controlli preventivi sui potenziali acquirenti e sui loro patrimoni, l’’eventualità che i beni dei mafiosi possano essere acquistati con provviste finanziarie di provenienza illecita non fa altro che favorire l’emersione di capitali illeciti fino a quel momento occulti che, all’occorrenza, potrebbero essere assoggettati ad ulteriore sequestro, unitamente ai beni mafiosi dei quali si era tentata l’’aggiudicazione.
In ultimo, è assolutamente auspicabile una modifica della legislazione vigente, introducendo anche per le misure di prevenzione i principi che valgono per l’’affermazione della responsabilità penale, secondo il principio del “giusto processo” abbandonando i paradigmi del mero sospetto e della sufficienza indiziaria delle veline della polizia giudiziaria o delle dichiarazioni non riscontrate di certi pentiti, se non vogliamo che sia l’Europa e la giustizia europea a condannare inesorabilmente un istituto giuridico che, per come è stato mantenuto dal legislatore, manifesta tutti i suoi limiti e il suo vecchiume.
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