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«Dal 2000 al 2004 ho avuto il prestigio e l’onore di lavorare con Romano Prodi quando era presidente della Commissione europea». Sul suo sito personale, Sandro Gozi descrive così il suo battesimo del fuoco nel mondo della politica.
Appena dieci anni prima – ma questo sul sito non c’è scritto – lo avevamo lasciato al Fronte della gioventù di Cesena, come certificato da un documento ormai famoso e che l’esponente dem ha ritenuto essere stato compilato a sua insaputa. Appena 13 anni prima, stavolta in piena coscienza, posava sorridente accanto al fascistone Giorgio Almirante.
Installarsi tanto stabilmente nell’arco costituzionale partendo dal «cattiverio» missino in un decennio non è cosa da tutti. Ma l’abilità di Gozi nel farsi largo nel suo nuovo ambiente politico di riferimento stupisce ancora di più se pensiamo che appena 17 anni dopo quell’iscrizione controversa al Fdg, il politico cesenate stava addirittura facendo la scalata ai vertici della principale compagine politica della sinistra italiana, l’allora nascente Partito democratico. E doveva tenerci particolarmente, se poi finirà a denunciare chi gliel’avrebbe impedito, «sporcando» la sua immagine con un’inchiesta giudiziaria intempestiva.
L’ambizione di Gozi non è desunta da veleni di corridoio, che pure nell’idilliaco ambiente del Pd non mancano mai, ma l’ha messa nero su bianco lo stesso pupillo di Emmanuel Macron negli atti di un processo tuttora in corso alla prima sezione della Corte d’appello di Roma che vede contrapposti lo stesso Gozi e Gioacchino Genchi, il consulente tecnico dell’allora pm Luigi De Magistris ai tempi dell’inchiesta «Why not».
Gozi venne iscritto sul registro degli indagati a inizio luglio 2007 dopo le dichiarazioni della super teste Caterina Merante (titolare della ditta Why not e grande accusatrice degli uomini dell’allora premier Romano Prodi, iscritto a sua volta sul registro degli indagati il 13 luglio 2007) e grazie all’incrocio dei tabulati telefonici effettuato da Genchi. Panorama diede in anteprima la notizia dell’iscrizione di Gozi e di un altro personaggio molto noto, Piero Scarpellini, considerati entrambi da De Magistris appartenenti alla stessa cricca e collegati alla cosiddetta loggia di San Marino, Repubblica dove Gozi ha più di un interesse e oggi risulta indagato per una consulenza da 120.000 euro.
La posizione di Gozi fu poi successivamente archiviata, ma è interessante quello che l’esponente del Pd ha scritto, nel 2017, negli atti della causa da lui mossa contro Genchi. Gozi lamenta infatti un danno politico subito a causa dell’inchiesta. «Va qui precisato», si legge, «che nel 2007 il ricorrente (cioè lo stesso Gozi, ndr) partecipava attivamente alla “fase nascente” del Partito democratico, venendo nominato membro della direzione nazionale del partito medesimo e membro della commissione sul Manifesto dei valori: potendo così ambire ad una posizione di rilievo nella segreteria che sarebbe stata costituita o ad altri incarichi rilevanti, anche perché il Partito democratico faceva espressamente leva sui giovani, secondo le note idee portate avanti da Walter Veltroni. Pertanto, fra il luglio e il settembre del 2007 si candidava per tali posizioni».
Ma, sulla strada del successo, Gozi trovò un ostacolo. Infatti, «il Partito democratico, nella persona del dott. Walter Verini – allora capo di gabinetto della segreteria del partito – gli chiedeva a che punto fosse la vicenda giudiziaria “Why Not?” e se egli ne fosse uscito, in ragione della risonanza mediatica negativa della medesima. Appreso che il ricorrente era ancora sottoposto ad indagini, il dott. Verini gli comunicava che i tempi non erano ancora maturi per l’assunzione di incarichi diversi da quello che egli aveva come deputato».
Ma tu guarda se un (non tanto) sincero democratico deve accontentarsi di restare «solo» deputato. Gozi se la legò al dito: «È dunque di immediata evidenza», si legge ancora negli atti, «quali sono stati gli avanzamenti di carriera e tutti i connessi benefici – reddituali e di immagine, oltre che di soddisfazione personale – che gli illeciti di cui si tratta hanno, almeno per un certo lasso di tempo, impedito, con danno da valutarsi se del caso sotto il profilo della perdita di chance, in misura non inferiore ad euro 50.000».
Sul danno «reddituale» non ci esprimiamo, ma quello politico appare quanto meno opinabile. Negli atti presentati dai legali di Genchi si ha quindi buon gioco nel far rilevare che quella in oggetto è «una vicenda che lungi dall’averlo pregiudicato in alcun modo, ha costituito il pretesto per ottenere maggiori e più ambiziosi spazi nella carriera politica, in nulla danneggiata dall’asserita e comunque solo parziale acquisizione dei tabulati di alcune sue utenze, tanto che, dopo l’ininterrotta rielezione al Parlamento sin dai fatti del 2007 (segnatamente alla Camera dei deputati nel 2008 e nel 2013), dal 28 febbraio 2014 è stato presidente della delegazione presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (2013-2014) e, per ben due volte, nella compagine del governo nazionale». E anche di uno extra nazionale, possiamo aggiungere oggi. Almirante sarebbe stato fiero di lui.
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