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Cassazione: Genchi non ha svolto attività abusive, ecco perché l’archivio è stato dissequestrato, reato solo se la violazione della privacy provoca un ‘vulnus’

Adnkronos - 15 ottobre 2009 - di Redazione

ROMA – Gioacchino Genchi non ha violato la privacy di nessuno. Lo certifica la Cassazione che, nel motivare l’ok al dissequestro dell”archivio’ disposto lo scorso 25 giugno, evidenzia come vada “esclusa la qualifica di abusività attribuita all’attività svolta” dal consulente informatico di diversi magistrati, “avendo questi effettuato l’accesso, a seguito dell’autorizzazione ricevuta dal comune di Mazara del Vallo nel sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate”. Nel caso in questione, scrivono dunque gli ‘ermellini’ nelle motivazioni della sentenza 40078, “essendo Genchi abilitato a consultare i dati presenti nel sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate, non è ipotizzabile una volontà contraria del titolare dello ‘ius excludendi'”.
Il consulente informatico di diversi magistrati, tra cui Luigi De Magistris Giovanni Falcone, era stato indagato per intromissione illecita nel sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate e per violazione della privacy. Accuse che il Tribunale del Riesame di Roma, lo scorso aprile, aveva fatto cadere ordinando il dissequestro del materiale di Genchi. Contro questa decisione ha fatto ricorso in Cassazione la Procura della capitale ma la Suprema Corte, dichiarando il ricorso inammissibile, ha precisato che “non può condividersi la lettura della norma sottesa alla contestazione in esame che individua l’abusività della condotta nel fatto di chi, abilitato ad accedere al sistema informatico, usi tale facoltà per finalità estranee al compito ricevuto”.
Inoltre i supremi giudici fanno notare che il reato punito in base al dlg 196/2003, “non sussiste in caso di mancata dimostrazione che la violazione della normativa sulla tutela dei dati personali, abbia prodotto un ‘vulnus’ significativo alla persona offesa”.
Sostenere, infatti, che questa condizione di punibilità sia “implicita e intrinsecamente connessa – conclude piazza Cavour – equivale ad asserire un capovolgimento dei principi in tema dell’onere della prova, assolutamente non giustificata dalla fase iniziale delle indagini”.