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Un telefonino ha tradito la banda degli assalti alle ville: il Nokia 8210 perso durante lo scontro con una proprietaria, che era rientrata all’improvviso nella sua casa di “Città giardino”. Quel pomeriggio del 21 agosto 2002 il telefonino squillò tre volte mentre i rapinatori fuggivano: erano la mamma, la moglie e uno strano amico di Giuseppe Di Lorenzo, uno dei capi della banda. I poliziotti delle Volanti rimasero sorpresi non poco quando scoprirono che l’amico era Matteo Di Giovanni, appuntato dei carabinieri in servizio alla Compagnia San Lorenzo. Accaddero cose strane nelle 24 ore che seguirono il colpo a “Città giardino”: mentre i poliziotti cercavano Di Lorenzo, lui era già stato arrestato dai carabinieri di Torretta, che si erano ricordati all’improvviso di avere nel cassetto, da 41 giorni, un ordine di carcerazione della Procura di Velletri.
Questa non è solita storia di rapinatori. «Durante le indagini abbiamo dovuto fare i conti con una spiacevole fuga di notizie – denuncia il pubblico ministero Maurizio Agnello nella conferenza stampa in questura – il sottufficiale in contatto con Di Lorenzo si è presentato col suo avvocato in Procura». Il militare sapeva perfettamente di essere finito nella rete dei sospettati perché nelle ore della rapina era nella zona di “Città giardino”. Il suo cellulare non lasciava dubbi. «Per il momento il sottufficiale ha chiarito alcuni aspetti della sua delicata posizione – dice il magistrato – ma stiamo facendo altri accertamenti, il caso è tutt’altro che chiuso».
Per entrare nei segreti di questa indagine, Agnello si è affidato a uno specialista di telefonini e di talpe, il vice questore Gioacchino Genchi. E i sospetti sono diventati certezze. Così gravi da far passare in secondo piano gli strani contatti fra Di Lorenzo e l’appuntato, anche nel giorno del colpo. Era Salvatore Di Lorenzo, arrestato col fratello Giuseppe, a parlare al telefono con ben altri (e alti) rappresentanti delle istituzioni. L’ordine di custodia firmato dal gip Gioacchino Scaduto riprende la scoperta fatta dal consulente informatico della Procura: Salvatore Di Lorenzo utilizzava un cellulare coperto per mantenere contatti con carabinieri, poliziotti e agenti del Sisde, il servizio segreto civile.
L’indagine che ha portato in carcere sei persone per la rapina del 2002, che fruttò centomila euro in gioielli, apre uno scenario inquietante: perché a casa di Salvatore Di Lorenzo era conservato il numero di un altro cellulare, che si è scoperto essere di un parente stretto dei latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo, signori incontrastati di San Lorenzo, il primo ricercato da ventitré anni, il secondo da sei. I telefoni dei Di Lorenzo hanno molti altri contatti con esponenti mafiosi. L’ultima sorpresa è arrivata durante il blitz: il vice questore aggiunto Rosi La Franca, che ha seguito l’indagine sin dall’inizio con la sezione di polizia giudiziaria delle Volanti, ha scoperto un sofisticato rilevatore di microspie a casa di Salvatore Di Lorenzo.
Chi sono davvero questi rapinatori di ville? Un tempo erano gli specialisti del crimine più quotati a Palermo per i furti in appartamento. Insieme con loro è finito in manette Filippo Quatrosi: anche i suoi cellulari svelano molti contatti con grossi rapinatori e personaggi al servizio delle cosche. Quatrosi è la talpa di “Città giardino”: quando ancora sembrava una persona rispettabile, ebbe una love story con la figlia dei proprietari. Perciò era uno dei pochi a sapere che in casa c’era una stanza blindata.
Quatrosi e gli altri utilizzavano cellulari coperti, ma quel Nokia ritrovato dalla polizia ha fatto crollare tutte le precauzioni. Così sono spuntati anche i complici: Andrea Barone, Calogero Filippone e Salvatore Loddo. I segnali inviati dai loro cellulari ai ripetitori tracciano esattamente le mosse della banda. Non è servito neanche utilizzare un’anonima scheda Telecom per verificare se le vittime fossero in casa: qualche telefonata fatta prima e dopo dalla cabina ha tradito Di Lorenzo e soci.
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