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CALTANISSETTA. Quattordici anni di carcere per Antonello Montante. Dopo due ore di camera di consiglio, la gup di Caltanissetta Graziella Luparello ha condannato l’ex responsabile legalità di Confindustria che si proclamava paladino dell’antimafia. Una condanna pesante, che va oltre le richieste del procuratore Amedeo Bertone, dell’aggiunto Gabriele Paci, dei sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso, che avevano chiesto 10 anni e 6 mesi. Ed è una condanna scontata di un terzo, perché Montante aveva scelto di essere giudicato con il rito abbreviato, dunque a porte chiuse, e lui – l’onnipresente su giornali e tv – è diventato un imputato fantasma, non si è presentato neanche una volta in aula davanti al suo giudice.
Condannati anche i componenti del “cerchio magico” di Montante: 6 anni e 4 mesi per Diego Di Simone, l’ex ispettore della squadra mobile di Palermo diventato il capo della security dell’associazione degli Industriali: era il più fedele scudiero di Montante per gli affari sporchi, dagli accessi abusivi nella banca dati delle forze dell’ordine (per costruire dossier) ai contatti con alcune misteriose talpe istituzionali che provavano a spiare i pubblici ministeri e la dirigente della Mobile, Marzia Giustolisi.
Condannato pure Marco De Angelis, funzionario della questura di Palermo, a 4 anni: era il braccio operativo di Diego Di Simone. Tre anni a Gianfranco Ardizzone, l’ex comandante provinciale della Guardia di finanza di Caltanissetta.
Di rivelazione di notizie riservate e concorso esterno rispondeva Andrea Grassi, ex funzionario del Servizio centrale operativo della polizia oggi questore di Vibo Valentia: è stato condannato a 1 anno e 4 mesi (è stato assolto dal concorso esterno, non faceva parte della catena delle talpe di Montante). Assolto Alessandro Ferrara, ex dirigente generale delle Attività produttive, così come aveva chiesto la procura, rispondeva di false dichiarazioni.
Dice il procuratore Bertone: “Il dispositivo della sentenza dà largamente conto della fondatezza dell’accusa e dello straordinario lavoro che l’ufficio della procura di Caltanissetta ha svolto in questi anni e fa giustizia di alcune affermazioni che ho sentito durante il processo. Il sistema Montante è esistito per davvero. E la procura ha lavorato senza condizionamenti”. Il procuratore aggiunto Paci ringrazia l’ex procuratore Sergio Lari, oggi in pensione: “Fu lui ad avviare l’indagine, ha avuto il merito di tenere sempre unito l’ufficio”.
Polemico invece uno dei legali di Montante, Giuseppe Panepinto, che ha difeso il leader di Confindustria con il professore Carlo Taormina: “Rivendichiamo la titolarità in capo a Montante di essere stato e di essere ancora il vessillo dell’antimafia e chi lo vuole abbattere è il potere mafioso che è riemerso, purtroppo allineato a quello giudiziario che inconsapevolmente sta dando un forte contributo alla sua vittoria”. E attacca il presidente della commissione antimafia, Nicola Morra: “Vergognose le sue esternazioni in questi giorni”. Morra aveva annunciato l’acquisizione di tutte le carte dell’inchiesta Montante. E ora rilancia: “La sentenza e le relative condanne a Montante e ai suoi sodali, presunti servitori dello Stato, dimostrano definitivamente la gravità del cosiddetto sistema Montante. Mi aspetto prese di posizione nette e chiare dalla politica”.
Il giudice ha disposto anche il risarcimento alle parti civili. Cinquemila euro per la Regione Siciliana. La stessa cifra è stata riconosciuta a giornalisti, avvocati, professionisti, politici spiati da Montante: Graziella Lombardo, Attilio Bolzoni, Gioacchino Genchi, Salvatore Petrotto, Antonino Grippaldi, Gaetano Rabbito, Vladimiro Crisafulli, Pasquale Carlo Tornatore, Marco Benanti, Monica Marino, Fabio Marino, Gildo Matera, Umberto Cortese e Vincenzo Basso. Un risarcimento di 15mila euro ciascuno è stato riconosciuto a Gianpiero Casagni, Nicolò Marino e Pietro Di Vincenzo. Risarcimento da 10mila euro per Alfonso Cicero, 30mila euro per l’Ordine dei giornalisti di Sicilia e la Camera di commercio di Caltanissetta. Il risarcimento più alto è stato riconosciuto al Comune di Caltanissetta: 70mila euro.
Si conclude così la prima tranche dell’inchiesta sul sistema Montante, avviata nel giugno del 2014, dopo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia che avevano parlato delle frequentazioni pericolose dell’ex presidente di Sicindustria protagonista della scelta antimafia dell’associazione degli industriali: aveva promesso l’espulsione di chi non denunciava il racket, ma in realtà nessun imprenditore compiacente con i clan è stato mai cacciato, e lui avrebbe continuato a intrattenere frequentazioni equivoche con gli Arnone di Serradifalco, don Paolino e Vincenzo, padre e figlio, suoi testimoni di nozze. Per quelle dichiarazioni dei pentiti – sono sette – Montante è ancora indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nel febbraio 2015, uno scoop di Repubblica svelò il vero volto di Montante. E a quel punto il cerchio magico si mise in moto per saperne di più, per spiare, per correre ai ripari.
Un alto pezzo importante di questa storia procede invece col rito ordinario, dove sono imputati gli altri anelli della catena delle talpe che avrebbe spiato le indagini della procura e della squadra mobile di Caltanissetta. Nomi ai vertici delle istituzioni: Renato Schifani, ex presidente del Senato; Arturo Esposito, ex capo dell’Aisi, in cima alla lista, Giuseppe D’Agata, l’ex capo centro della Dia di Caltanissetta passato ai Sevizi e il tributarista Angelo Cuva. Montante poteva contare anche sui favori di uno dei gli imprenditori più importanti della grande distribuzione al Sud, Massimo Romano.
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