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Il medico e gli abusi, siti hard nel cellulare della vittima

La difesa: lei ha tentato di cancellare tutto, rapporti consensuali

Giornale di Sicilia - 13 aprile 2019 - di Riccardo Arena

Biagio AdileIl caso è tutt’altro che chiuso: la nuova audizione della vittima e una perizia sul contenuto del cellulare di lei gettano una luce diversa, obliqua, sulla vicenda che vede imputato Biagio Adile, ginecologo, accusato di avere abusato di una paziente tunisina, nel suo studio e a Villa Sofia, dove lavorava. La ventinovenne che avrebbe subito gli abusi era infatti un’assidua frequentatrice di siti hard e avrebbe visto anche per molte ore al giorno film porno con fantasie particolari, riguardanti uomini in camice bianco. Un dato che in sé non sarebbe decisivo (la violenza non può essere esclusa apriori, qualora le donne guardino film pornografici) ma alla cui dimostrazione la difesa dell’imputato tiene molto, dato che evoca uno scenario di possibili ripicche per via di un presunto rifiuto di Adile di avallare le richieste della donna, tendenti a ottenere la cittadinanza italiana. Ma soprattutto l’obiettivo è la dimostrazione della consensualità del rapporto: secondo quanto emerso da una perizia, in occasione di uno dei due episodi di violenza, il cellulare della vittima si sarebbe agganciato al wi-fi dello studio di Adile per collegarsi a un sito hard.

Screenshot 2019-04-13 14.31.44Il processo per violenza sessuale contro Adile è ripreso ieri, dopo che uno dei giudici a latere della seconda sezione del Tribunale, Cristina Russo, è stata nominata in Corte d’appello ed è stata sostituita. Il collegio presieduto da Lorenzo Matassa, su richiesta dei legali dell’ex primario di Uroginecologia, gli avvocati Antonino Agnello e Gioacchino Genchi, ha risentito la donna, anche alla luce degli esiti di una perizia svolta e depositata dall’esperto Massimo De Trovato. Un accertamento esaminato con particolare competenza dall’avvocato Genchi, ex dirigente di polizia e notissimo esperto informatico. È stato lui a rilevare alcune anomalie tecniche sui tempi e le modalità dei primi accertamenti della Procura: il cellulare della donna venne sottoposto alla copia del contenuto e fu sequestrato su ordine del tribunale, solo quattro mesi dopo l’arresto di Adile, quando numerosissimi file erano già stati cancellati. Le cancellazioni non hanno sortito effetti definitivi, perché i file si possono recuperare dai «cloud», anche quelli di whatsapp. Il perito e Genchi hanno poi rilevato l’uso di un programma particolarmente avanzato ed efficace, il cleanmaster, che serve per cancellare in maniera professionale: e fra il giorno in cui il tribunale aveva disposto il sequestro, il 9 marzo dell’anno scorso, e quello in cui fu eseguito, il 14 (cosa «ingiustificabile», secondo i difensori), la donna aveva cancellato oltre 44 mila file, 164 chat e 8.994 messaggi. Tutti però recuperati.

Il consumo di materiale hard è uno degli aspetti che la difesa ritiene fondamentale per dimostrare la volontarietà del rapporto sessuale orale, che la stessa vittima ha registrato col proprio cellulare. Non sarebbe stata cioè costretta ma consenziente, perché il video sarebbe stato interrotto «accuratamente» nelle fasi che lo avevano «preceduto e in quelle immediatamente successive». Tesi che la Procura (il pm è Giorgia Righi, ieri sostituita da un collega) e la parte civile, rappresentata dall’avvocato Michele Calantropo, ritengono inconsistenti e non dimostrate. Il pm aveva chiesto e ottenuto prima l’arresto di Adile e poi, per via dell’«evidenza della prova» e grazie alla celerità con cui era stata chiusa l’indagine, il giudizio immediato, saltando l’udienza preliminare e andando direttamente in tribunale.

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