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Gioacchino Genchi, il perito informatico tra i massimi esperti di intercettazioni in Italia, di cui il Cga ha disposto nei giorni scorsi il reintegro in polizia dopo la destituzione del febbraio 2011 e che da allora svolge la professione di avvocato penalista, in una lunga intervista esclusiva a MeridioNews parla della presunta conversazione tra il governatore e il suo medico personale e fa una profonda analisi politica del Governo regionale
«Le indagini su Tutino non sono affatto una bomba ad orologeria. La crisi del governo regionale e del crocettismo ha radici e tempi assai remoti rispetto all’ultimo articolo dell’Espresso». Gioacchino Genchi, il perito informatico tra i massimi esperti di intercettazioni in Italia, di cui il Cga ha disposto nei giorni scorsi il reintegro in polizia dopo la destituzione del febbraio 2011 e che da allora svolge la professione di avvocato penalista e con altre funzioni continua ad occuparsi nei processi di indagini e intercettazioni, in un’intervista esclusiva a MeridioNews parla della presunta conversazione tra il governatore e il suo medico personale ed ex primario di Villa Sofia, Matteo Tutino. Ma c’è spazio anche per una profonda analisi politica. Il funzionario di polizia boccia l’azione dell’esecutivo perché «Crocetta ha perpetuato i metodi, gli errori e i sistemi del passato». E su Lucia Borsellino spiega: «È una persona perbene. L’unico errore è stato entrare nel Governo».
Il Governo Crocetta è stato travolto dalla bufera della presunta intercettazione choc tra il presidente della Regione e il suo medico personale Tutino. L’intercettazione, secondo lei, esiste?
«I dettagli e la precisa contestualizzazione della notizia con cui è stata pubblicata l’intercettazione dai giornalisti dell’Espresso lasciano proprio supporre che quella conversazione sia realmente avvenuta. Se a questo aggiungiamo il travaglio e le esternazioni che hanno portato e sono seguite alle dimissioni di Lucia Borsellino dalla carica di assessore alla Salute, è certo, e non è solo verosimile, che il clima alla Regione fosse molto infuocato. Da altre intercettazioni che si leggono sulla stampa – nella sostanza molto più gravi di quella controversa – emerge come Lucia Borsellino avesse fortemente avversato e non più tollerato le pretese egemoniche di quello che viene definito il “cerchio magico”, che ruotava intorno al presidente Crocetta. Uno dei comprimari di quel “cerchio magico” era indubbiamente Matteo Tutino.
Se alle reazioni di Lucia Borsellino sommiamo il contenuto sostanziale delle motivazioni delle sue dimissioni e le durissime prese di posizione di Manfredi, Rita e Salvatore Borsellino, mi pare non sia proprio necessario continuare nella ricerca dell’intercettazione per affermare che siamo in presenza di una vicenda di inaudito squallore. D’altronde le vibrate reazioni del capo dello Stato, del presidente del Senato, del presidente del Consiglio, del ministro dell’Interno e di numerosi esponenti politici della maggioranza e dell’opposizione, sia pure nella diversità dei toni e delle esternazioni, danno il quadro unitario di come la situazione politica siciliana sia ormai divenuta insostenibile».
L’Espresso, in un primo momento, ha dichiarato che l’intercettazione fa parte di uno dei tre filoni d’indagine su Villa Sofia e che è stata secretata. Quindi, presumibilmente, è di competenza della Procura di Palermo. Possibile che il capo dei pm palermitani Lo Voi possa non sapere o negare per tutelare le indagini?
«Se i giornalisti dell’Espresso hanno scritto quell’articolo e se quel giornale lo ha pubblicato, sono sicuro che avessero più di una fonte di conferma e debbo pure ritenere che queste fonti, oltre che autorevoli, fossero anche istituzionali. Il procuratore Francesco Lo Voi, d’altra parte, ha categoricamente smentito l’esistenza di quella intercettazione. La sua vita e la sua carriera sono la testimonianza della sua serietà e del suo assoluto rigore morale e professionale.
Lo Voi, unitamente a Piero Grasso e a pochissimi altri, era uno dei pochi magistrati palermitani ad essere rimasto leale e sincero amico di Giovanni Falcone. In quei terribili anni mi sono occupato di recuperare il contenuto delle agende elettroniche e dei diari di Giovanni Falcone, unitamente all’analisi del traffico telefonico dei suoi cellulari. Dai contatti telefonici e dai diari di Falcone (che una manina dello Stato aveva ritenuto di cancellare), a parte la profonda amarezza per le umiliazioni subite, è emerso che i suoi ultimi contatti prima di essere ucciso sono stati con Piero Grasso e Francesco Lo Voi. L’ultima cena a Palermo è stata a casa di Francesco Lo Voi e di Pasqua Seminara, ai quali Giovanni Falcone e Francesca Morvillo erano molto legati.
Con queste precisazioni sulla persona di Francesco Lo Voi – che mi sembrano doverose dopo il turbinio di polemiche che hanno riguardato la sua nomina – sono certo che la disamina da lui compiuta degli atti delle indagini della Procura di Palermo su Matteo Tutino è stata approfondita e puntuale, al pari dei comunicati con i quali in più occasioni ha tassativamente escluso la presenza di quella intercettazione, quanto meno nella parte del dialogo pubblicato dall’Espresso».
Se non fa parte di fascicoli aperti a Palermo e a intercettare Tutino è stata un’altra Procura, per quale motivo continuerebbe a nascondere l’intercettazione?
«Considerata la gravità della notizia, per la quale la Procura della Repubblica di Palermo ha aperto un fascicolo e sulla quale pende pure una richiesta di informativa da parte del procuratore generale della Corte di Cassazione, risulta possibile richiedere alle aziende telefoniche, anche mediante ordine di esibizione, se le utenze del Tutino o quelle di Crocetta siano state sottoposte ad intercettazione telefonica da parte di altra Autorità giudiziaria. Sul piano tecnico le aggiungo pure che è tecnicamente impossibile che due procure intercettino contemporaneamente la stessa utenza.
Ricordo perfettamente che quando questo avveniva, all’insaputa dei due uffici giudiziari che richiedevano l’intercettazione della medesima utenza, le aziende telefoniche investivano della problematica la Procura nazionale antimafia, che per legge ha una funzione di coordinamento nelle indagini di criminalità organizzata. Dopo di ciò si eseguiva sempre e soltanto una sola intercettazione dell’utenza e poi i diversi uffici giudiziari si scambiavano le risultanze delle indagini sulla base delle norme del codice di procedura penale.
Quindi è tecnicamente impossibile che due uffici giudiziari abbiano potuto contemporaneamente intercettare Tutino e ove lo avessero fatto in tempi diversi con una semplice richiesta alle aziende telefoniche è possibile accertarlo nel giro di pochi minuti ed eventualmente indirizzare le ricerche verso altre procure (Termini Imerese, Marsala, Trapani, Sciacca, Agrigento, Gela, Patti, ecc.). Se poi lei vuole una mia opinione le dico che escludo che Tutino possa essere stato oggetto di indagine da parte di altre Procure oltre quella di Palermo, mentre su Crocetta non ci metterei la mano sul fuoco, se non altro per i coinvolgimenti su tutta le province siciliane della sua azione amministrativa di presidente della Regione».
Le forze di polizia, pur avendo registrato la telefonata, possono non informare la Procura? E, se sì, per quale ragione?
«Questo può capitare e capita sovente. Nei processi siamo spesso noi difensori ad eseguire una accurata analisi delle intercettazioni e rilevare l’importanza di conversazioni i cui contenuti, al tempo in cui sono stati captati e ascoltati dalla polizia giudiziaria, sono stati ritenuti “irrilevanti” ai fini delle indagini. Nel caso di specie, considerata la meticolosità e l’accuratezza con cui i carabinieri del Nas hanno svolto le indagini, escludo proprio che abbiano omesso di trascrivere o tralasciato dal considerare la presunta intercettazione fra Tutino e Crocetta, specie dopo le polemiche che sono seguite alla sua pubblicazione. Sul piano tecnico basta isolare dai brogliacci, o dai tabulati, tutte le conversazioni fra Tutino e Crocetta e riascoltarle per togliersi ogni dubbio. Dalla certezza con cui il procuratore Lo Voi ha escluso la presenza di quella intercettazione ritengo proprio che questo sia stato fatto».
Sempre ipotizzando che la telefonata ci sia, è possibile che a registrare quella conversazione siano stati ambienti esterni alle forze di polizia?
«Lo escludo in modo categorico. Se si tratta di una intercettazione telefonica, come l’Espresso ha scritto e precisato, l’intercettazione del cellulare di Tutino, e anche quello di Crocetta, poteva essere eseguita solo e soltanto dalla polizia giudiziaria a seguito di un formale decreto dell’Autorità giudiziaria.
Ben al di là dei luoghi comuni e delle fandonie su cui in molti favoleggiano sulle intercettazioni telefoniche, nessuno in Italia può eseguire delle intercettazioni telefoniche clandestine, specie se le conversazioni intercorrono su utenze cellulari o su utenze a tecnologia digitale. È pure impossibile per effetto delle innumerevoli protezioni delle reti di comunicazione mobile in Italia. Cosa diversa se l’intercettazione fosse stata illecitamente carpita fra delle utenze di cui almeno una a tecnologia analogica (il classico telefono di casa o dell’ufficio), facilmente intercettabile da chiunque lungo la tratta della rete telefonica. In qualunque punto della rete basta inserire un semplice congegno, o già solo un microtelefono, per ascoltare e registrare tutte le conversazioni in entrata ed in uscita».
Si possono fare delle intercettazioni senza essere autorizzati da un pm? Chi può farlo? Si può nascondere di stare intercettando qualcuno?
«Le ribadisco quanto ho detto. Escludo che tecnicamente si possano fare delle intercettazioni clandestine di utenze cellulari. In verità ci sono delle apparecchiature molto costose, utilizzate dalle forze di polizia e dai servizi di sicurezza di vari Stati, che vengono utilizzate per la localizzazione dei cellulari anche non in conversazione o in movimento. Quel tipo di intercettazioni, però, non garantiscono continuità e completezza della captazione dei dialoghi intercorsi e non possono essere utilizzate in alcun modo nelle indagini giudiziarie.
Nel caso di specie, al di là dei complotti dei “poteri forti” invocati da Crocetta, escludo che per intercettare Tutino e Crocetta siano state utilizzate queste tipologie di apparecchiature così rare, costose e sofisticate. Ove questo fosse avvenuto, e ove fossero effettivamente scesi in campo i “poteri forti”, già il presagire questo è una conferma implicita che l’intercettazione ci sia stata, cosa che io escludo, specie dopo le puntualizzazioni del procuratore Lo Voi».
Chi potrebbe essere interessato ad intercettare Crocetta? Quale ritorno potrebbe averne?
«Crocetta non mi pare dica in pubblico nulla di interessante per doverne captare clandestinamente i dialoghi privati. A parte le solite litanie sulla retorica antimafia, la distribuzione in un lungo e largo di patenti di mafiosità diffusa a politici, imprenditori e funzionari pubblici incensurati, per apprendere che Crocetta vive nell’incubo di essere ucciso dalla mafia non mi pare sia necessario intercettarlo. Se poi ci fa caso tutte le volte che Crocetta è in difficoltà, vuoi per una crisi della giunta, vuoi per gli attacchi delle opposizioni o per le dimissioni di qualche assessore, si ostina a ripetere che “la mafia lo vuole morto”. Sul piano personale poi penso che Crocetta non sia passibile di alcun ricatto. Ha fatto della sua vita privata un fatto pubblico, non facendo nemmeno mistero delle sue inclinazioni sessuali».
Secondo lei siamo davanti ad intercettazioni ad orologeria? Fatte per far cadere il governo regionale?
«Siamo in presenza di intercettazioni – quelle vere – dal contenuto intrinseco e complessivo che dimostrano come qualcuno, forse perché amico, medico e abituale frequentatore di politici e magistrati importanti, ha ritenuto di potersi collocare al di sopra della legge e non al di sotto. La sindrome di ubriacatura dal potere, peraltro, è molto diffusa e ha fatto molte vittime. La giustizia prima o dopo arriva per tutti, anche per quelli che pensano di avere la polizza kasko con le procure.
Ecco perché penso che le intercettazioni e le indagini su Tutino non sono affatto una bomba ad orologeria anzi, se mi consente, considerata l’epoca a cui quelle indagini risalgono, sono abbastanza stagionate e forse meritavano di essere considerate già da qualche anno. Più che di una bomba ad orologeria penserei piuttosto ad un orologio che ha camminato a rilento e solo da qualche mese ha ripreso a funzionare.
Per il resto, se proviamo a mente serena a razionalizzare la vicenda, la crisi del governo regionale e del crocettismo che lo ha ispirato ha radici e tempi assai remoti rispetto all’ultimo articolo dell’Espresso. Anzi, se proprio vuole che le dico come la penso, questa vicenda – mista alla preoccupazione di molti deputati regionali di non essere riconfermati – ha finito per rinforzare e forse consentirà a Crocetta di proseguire ancora nel suo mandato, che sembrava essere giunto al capolinea ancor prima che fosse pubblicata la presunta intercettazione con Tutino.
Per lui come per ogni cittadino vale comunque la presunzione di innocenza che gli auguro riuscirà a dimostrare nelle competenti sedi giudiziarie. Il giudizio politico su Crocetta, però, non necessità del passaggio in giudicato di alcuna sentenza ed appartiene al patrimonio di libertà di ciascuno di noi».
Le intercettazioni hanno creato seri problemi ai precedenti presidenti di Regione: Salvatore Cuffaro è in carcere e Raffaele Lombardo sotto inchiesta. Quali dovrebbero secondo lei essere i limiti nell’uso delle intercettazioni?
«Non penso si possano fare paragoni fra le vicende giudiziarie che lei cita. Cuffaro e Lombardo sono stati indagati e processati. Lombardo dovrà affrontare un altro grado di giudizio. Crocetta non risulta ancora che sia indagato e per di più, dopo le conferme del procuratore Lo Voi, sembra vittima di una bufala di dimensioni inaudite. In questo, se è sincero, capisco e giustifico tutte le sue reazioni di sdegno per quanto riguarda la frase specifica su Lucia Borsellino, pur confermando tutte le riserve sul suo operato politico e amministrativo di presidente della Regione».
Il Governo Crocetta negli ultimi giorni ha subito una defezione importante: quella di Lucia Borsellino. Per tre anni è stata al fianco del governatore, riconfermata ad ogni rimpasto. Secondo lei è stato un errore da parte della figlia del giudice antimafia rimanere in questo Governo?
«Io voglio bene e stimo molto Lucia Borsellino che ho conosciuto in quei tragici giorni dell’estate del 1992. Se vuole la mia opinione sincera le dico che Lucia non ha fatto un errore a rimanere in questo governo e semmai l’errore è stato quello di entrarci.
Sotto un diverso profilo la capisco. Lei è una ragazza perbene, colta e intelligente, segnata dalla tragedia dell’uccisione del padre negli anni più belli della sua giovinezza. Un padre che era l’esempio, per i suoi figli e per tutti quanti lo abbiamo conosciuto, di attaccamento alle istituzioni. Paolo Borsellino viveva come cittadino, come padre e come magistrato nella speranza di dare ai suoi figli e a tutti i giovani siciliani una Sicilia migliore di quella che lui aveva conosciuto. Per questo è stato ucciso. Dopo la strage di Capaci la sua lungimiranza e al contempo la sua umanità lo avevano candidato ad essere l’antesignano della ribellione del popolo siciliano e in particolare dei giovani contro la mafia. Gli effetti di quella ribellione, se Paolo Borsellino non fosse stato ucciso, sarebbero stati più deflagranti dei maxi processi e delle indagini giudiziarie. Non a caso Paolo Borsellino diceva che “un giorno questa terra sarà bellissima”.
Reduce da questo insegnamento Lucia Borsellino – nella più assoluta buona fede e scevra da tornaconti personali o politici – ha sentito il dovere di continuare la missione del padre a servizio della comunità siciliana e per il bene dei siciliani. L’unico errore che ha fatto è stato quello di lasciarsi abbacinare e di credere in Rosario Crocetta».
Se dovesse dare un giudizio del governatore e della sua azione riformista quale sarebbe? La discontinuità rispetto al passato c’è stata?
«La discontinuità dell’azione politica e di governo di un presidente della regione, specie di una regione come la Sicilia, si realizza cambiando radicalmente i metodi, i sistemi e gli uomini dei governi passati. Chi, come Piersanti Mattarella ha tentato di farlo, è stato ucciso. Crocetta non ha cambiato un bel nulla. Ha perpetuato i metodi, gli errori e i sistemi del passato. Le indagini giudiziarie delle diverse procure siciliane su sanità, formazione e quello che verrà lo dimostrano, senza considerare le reprimende e le dure condanne della magistratura contabile per politici e funzionari del “cerchio magico”, alcune delle quali sono già divenute definitive.
Per quanto riguarda gli uomini Crocetta – dopo lo specchietto per le allodole della scelta di Battiato, Zichichi e Marino quali assessori della sua giunta – ha finito per riciclare gli esponenti dei passati governi Cuffaro e Lombardo. Due presidenti che hanno pagato per tutti l’operato di un sistema politico ed amministrativo che non può essere riferito solo a loro e che a loro si è perpetuato, grazie a Crocetta.
Alla luce di queste elementari valutazioni mi pare che Crocetta abbia raggiunto il massimo del peggio nella gestione amministrativa e politica della nostra regione, con l’aggravante di essersi fatto scudo di una antimafia parolaia e di facciata per abbacinare i siciliani e conquistarne il consenso. Il tempo e il suo operato lo hanno smentito, senza bisogno delle intercettazioni dell’Espresso».
Crocetta, dunque, per lei non ha nessun merito?
«Il presidente della Regione ha un grande merito. Quello di aver fatto riflettere i più intransigenti regionalisti sull’assoluta inutilità dell’istituto delle regioni, che sono finite per essere solo delle fonti di sperpero e di latrocinio, senza alcun beneficio per i cittadini. In un prossimo futuro, dopo che sarà “abolito” Crocetta, mi auguro vengano abolite le regioni, al pari delle province, create dalla politica solo per assicurare tante poltrone ai tanti sederi di quanti hanno dissanguato e mandato sul lastrico le finanze della nostra nazione».
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