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Gran parte dell’udienza di ieri del processo sul cosiddetto “Sistema Montante” è stata dedicata all’esame e al contro esame dell’avv. Gioacchino Genchi, originario di Castelbuono, già vice questore aggiunto della Polizia di Stato (prima destituito e poi reintegrato a pieno titolo), esperto informatico e dei sistemi della telefonia, e che dopo le stragi Falcone-Borsellino fece pure parte del gruppo investigativo creato dal questore Arnaldo La Barbera per indagare su quei terribili attentati mafiosi.
Genchi, in questo dibattimento con 17 imputati (presunti fiancheggiatori dell’imprenditore Antonello Montante), è anche parte civile, in quanto a suo carico furono effettuati degli “accessi abusivi” alla Banca dati del ministero dell’Interno, dopo che entrò nel pool difensivo dell’ing. Pietro Di Vincenzo. E ieri è stato sentito come teste. Ha dapprima risposto alle domande del Pm Maurizio Bonaccorso, riferendo tra l’altro come conobbe Di Vincenzo, che ha definito “una persona perbene”.
“Ho avuto un rapporto professionale, scaturito da un processo, con l’imprenditore palermitano Davide Tedesco. E da lì si è trasformato in amicizia. Fu lui a dirmi che era molto amico dell’ing. Di Vincenzo, che in quel periodo era in carcere, e mi fece leggere qualche lettera del loro rapporto epistolare durante la detenzione. Fu sempre lui a parlare di me a Di Vincenzo e poi a cercare di coinvolgermi nella sua difesa. Cominciando a conoscere quella vicenda, studiando tutti gli atti di indagine, ebbi subito la percezione che, al di là dell’azione della Procura, la genesi delle problematiche a suo carico e delle successive misure, scaturivano – dopo la piena assoluzione dal l’inchiesta “Cobra” a Roma – dal suo ritorno a Caltanissetta con il desiderio di un nuovo coinvolgimento nell’Associazione degli industriali. Ma nel frattempo in questa città il contesto imprenditoriale era cambiato ed aveva ricondotto il punto di riferimento a un soggetto nuovo che era Montante. Di Vincenzo non si era reso conto che andava incontro a una realtà mutata.
“Un giorno apprendo da un articolo di giornale – ha proseguito l’avv. Genchi – di un appunto che era registrato nel computer sequestrato a Di Vincenzo, e di cui non c’era traccia negli atti giudiziari, né lui me ne aveva mai parlato, in cui si accennava al pedinamento e comunque agli spostamenti dell’allora procuratore capo Sergio Lari. In particolare di una cena a casa di Venturi, con Montante, Lumia, Ardizzone della guardia di finanza e con lo stesso Lari. Vicenda che Di Vincenzo aveva saputo da un sacerdote. E che Lari aveva comunque confermato quando uscì l’articolo, parlando di quell’incontro come una “visita istituzionale”. Ritengo certamente anomalo il fatto che un procuratore, dopo l’insediamento, faccia la ‘visita istituzionale’ a casa di un privato”.
Un altro episodio sul quale il teste si è soffermato è legato ad un pranzo avvenuto il primo aprile del 2014 nel ristorante “Charme” di Palermo. A un tavolo c’è il costruttore suo amico Davide Tedesco con un altro commensale. Ed proprio Tedesco a sentire e ad incuriosirsi molto per il contenuto di una conversazione che si svolge tra due persone de l tavolo vicino. E di ciò informerà in tempo reale tramite messaggini telefonici l’avv. Genchi.
“Tedesco – ha raccontato ieri Genchi – è seduto per il pranzo e riconosce Montante al tavolo accanto che parla con un altro signore su una misura patrimoniale di prevenzione a carico di un tale Funaro, che io non conoscevo, e che poi mi viene indicato come un imprenditore edile del Trapanese impegnato nell’Associazione degli industriali. Tedesco mi manda un sms e chiede subito di incontrarmi. Aggiunge che l’interlocutore di Montante poteva essere qualcuno dei Servizi. lo dovevo partire poco dopo, ma ci incontriamo nel mio studio. Tedesco mi descrive l’altra persona e gli mostro una foto presa da internet del questore di Trapani dell’epoca, Carmine Esposito, con il quale avevo fatto il corso in Polizia. Lui lo riconosce e colleghiamo che l’interlocutore di Montante era proprio lui. Poco più tardi, mentre mi trovo nella Sala Vip dell’aeroporto di Palermo, incontro per caso Montante e mando un sms scherzoso a Tedesco… Il 5 agosto (4 mesi dopo quel pranzo e quella conversazione captata, n.d.r.), lo stesso Tedesco manda a me e a Di Vincenzo copia di un giornale on line con la notizia della misura patrimoniale adottata a carico di Pietro Furnaro, vice presidente regionale dell’Ance”.
L’avv. Genchi ieri in aula ha poi detto di avere saputo degli accessi abusivi allo Sdi a suo carico “solo al momento della discovery dell’inchiesta su Montante”. “In ogni caso – ha aggiunto – su Google ci sono più notizie rispetto allo Sdi sui procedimenti penali che mi riguardano…”.
Su specifica domanda dell’avv. Mirko La Mattina, legale di parte civile per l’ing. Pietro Di Vincenzo, il teste ha poi parlato di un preciso protocollo di sicurezza informatico che adotta con tutti i suoi clienti. “Dal mio profilo su Google drive viene generato un account con una codificazione ben precisa che mi consente di interagire in tempo reale con i clienti a distanza. All’ing. Di Vincenzo diedi un mio Mac in disuso e lavoravamo a distanza su documenti condivisi con interazioni anche sulla mia attività difensiva. Avevamo la password io e lui. Ma mi cominciarono ad arrivare diversi alert per tentativi di accesso a quell’account. Gli chiesi se aveva mandato da quella mail dei documenti ad altri e me lo confermò. Chiaramente chi riusciva a forzare quell’account poteva accedere a tutto ciò che vi era registrato. Con altri clienti non è mai capitato di ricevere questi allarmi…”.
“Ma ha mai denunciato tali tentativi di accesso all’account?”, gli ha poi chiesto in sede di contro esame l’avv. Giuseppe Panepinto, che nel filone principale dei processi sul “Sistema Montante” difende proprio l’ex “paladino della legalità” ed in questo dibattimento assiste due ex dipendenti dell’imprenditore di Serradifalco.
“No – ha risposto Genchi –. L’alert indica un tentativo fallito di accesso. Lo dico da informatico: se hanno la password ed entrano nell’account non rimane traccia”.
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