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«Procuratore, il mio cellulare ce l’ha tutto il mondo, è nei miei biglietti da visita…». Quel giorno, ad ascoltare il governatore della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro c’era mezza procura di Palermo. Quattro pm più il procuratore generale Piero Grasso. Gli chiedevano come mai lo avesse cercato al telefono il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, accusato di aver rivelato la presenza di cimici nella casa del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, uomo di fiducia di Bernardo Provenzano. «Non ho mai cambiato telefonino», rispondeva Cuffaro, «e ho chiuso il cellulare quando ho avuto il problema… prima il mio cellulare l’avevano tutti».
Invece no. Salvatore Cuffaro di cellulari ne aveva di più. E pure di schede telefoniche, che non erano sul biglietto da visita. Anche una sulla quale il 12 luglio del 2001, alle 17.53, venne chiamato da Riolo. Intestata a tale Maddalena Carollo, nata il 24 giugno del 1951 a Villabate, ma in realtà mai esistita. Allora il governatore non poteva sapere che anche quel telefono era controllato, sicché disse che forse con Riolo aveva parlato, ma prima della sua elezione il 24 giugno: «Il contenuto non lo ricordo, eravamo in campagna elettorale… spero che possa essere perché cercavano voti per me».
Già. Ma oggi l’ultimo capitolo della saga sulle talpe della Dda, in cui Cuffaro è accusato di favoreggiamento a Cosa nostra, si fa intricato. Perché la telefonata dimostrerebbe, a differenza di quanto sostiene lui, che il suo rapporto con i Ros che avevano tradito, andava ben al di là di simpatie elettorali.
Tutto ruota intorno ai tanti telefoni di Cuffaro, individuati grazie alle intercettazioni sull’ex assessore di Palermo Domenico Miceli – da una parte amico suo e dall’altra del medico mafioso Guttadauro – e al prezioso file criptato, rinvenuto nel pc sequestratogli, in cui aveva segnato tutti i numeri dei prestanome del presidente. Tra questi (intestati ad altri ma in uso a lui, secondo i magistrati) c’era per esempio quello a nome di Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale di Villabate, di cui Cuffaro era stato testimone di nozze. È lì che Cuffaro riceve ben 54 chiamate in un anno e mezzo da un ufficio riservato del Sisde di stanza a Palermo. Ed è sempre lì, su quel numero, che risultano chiamate con Antonio Borzacchelli, altro ex maresciallo Ros, poi onorevole regionale Udc, poi detenuto. E dell’amico di quest’ultimo Riolo. Un giro frenetico di codici Imei e schede Sim che ha luogo nella tarda primavera 2001. Poi arrivano elezioni, Miceli viene trombato, Cuffaro trionfa. Tra gli eventi non c’è collegamento, ma le intercettazioni sulle chiamate dell’assessore aprono un inquietante squarcio sui retroscena della politica siciliana. Con colpi di scena che si susseguono.
L’ultimo era stato il pentimento di Campanella che, se da una parte prestava il suo nome per l’utenza di Cuffaro, dall’altra falsificava i documenti di Bernardo Provenzano, per la nota operazione di Marsiglia. Campanella si è costituito. E ora viene fuori la sua ennesima contraffazione, la più clamorosa. Perché è nel suo negozio, la Enterprise, che Campanella attiva il 28 giugno 2001, quattro giorni dopo la vittoria di Cuffaro, la scheda intestata a Maddalena Carollo.
Per capire chi si nasconde dietro questa donna inesistente che telefona 2496 volte in 18 mesi, il consulente della Procura di Palermo Gioacchino Genchi studia con attenzione i tabulati: le prime due chiamate vengono fatte a Miceli e a casa Cuffaro. E siccome Miceli era intercettato, per 404 secondi si sente, dall’altra parte della cornetta, la voce del governatore. Che sia lui Maddalena? Poi la scheda Carollo finisce in due altri telefoni, intestati o riconducibili sempre a Cuffaro. Quindi altre due conversazioni con Miceli, il 15 e il 23 giugno, sono state registrate. La Sim fa poi lo stesso percorso del governatore l’11 e il 12 luglio a Roma, in occasione di un incontro della Casa delle Libertà. Riceve una chiamata del fratello del governatore e di due deputati, facendo poi, il giorno dopo, rientro a Palermo. Chi si celi dunque dietro quest’identità non è difficile capirlo.
Ma quel 12 luglio,a Roma, tra chi chiama la Sim Carollo-Cuffaro, c’è anche Riolo. E secondo i magistrati la ragione è che il maresciallo doveva mettere all’incasso una “speciale” cambiale. Riolo interrogato dai pm rispose: «Cuffaro quando io andai per chiedergli dell’agriturismo mi disse di chiamarlo su questi numeri, me ne diede 2-3». In cambio delle spiate, Riolo avrebbe chiesto in quei giorni un finanziamento a fondo perduto di 700 milioni per l’agriturismo di un omonimo cugino di Piana degli Albanesi, che arrivò qualche mese dopo. E infatti, alle 18.04 del famigerato 12 luglio, Riolo, dieci minuti dopo aver parlato con la Carollo alias Cuffaro, chiama il cugino. Uno che, per essere parente di un carabiniere, aveva amicizie insolite: il 19 e il 24 agosto del 2001, in piena trattativa per il finanziamento dell’agriturismo, si sentì al telefono con il noto esponente mafioso Alberto Raccuglia, indagato, in passato, proprio dai Ros.
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