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Una miriade di utenze telefoniche, da quella “segreta” intestata ad un uomo vicino alla famiglia mafiosa di Villabate e usata in 29 cellulari diversi, a quella “privata” chiamata più volte, e soprattutto nei periodi caldi, da una delle gole profonde che passavano notizie riservate sulle indagini della Dda di Palermo. La consulenza depositata due giorni fa dall’esperto informatico della Procura Gioacchino Genchi rivela nuove spine nel fianco del presidente della Regione, mettendo a nudo i suoi numerosi e “pericolosi” contatti con quelli che, nel frattempo, sono diventati i coimputati di Totò Cuffaro: dal maresciallo-talpa Giorgio Riolo al deputato Antonio Borzacchelli, dal medico condannato per mafia Salvatore Aragona all’ex assessore Mimmo Miceli. Ed è proprio al processo che vede imputato Miceli di concorso esterno in associazione mafiosa che la deposizione del consulente della Procura riserva più di una sorpresa: da una “nuova” telefonata, partita dalla caserma del Ros di Monreale all’indirizzo del cellulare di Miceli nel maggio del 2001 (prima cioè di quando Riolo e Miceli dicono di essersi conosciuti) al mistero di un computer portatile, sequestrato a Miceli al momento dell’arresto, ma di proprietà del segretario provinciale dell’Udc Totò Cianciolo che, mai chiamato in Procura per accertare la proprietà del pc, si dice pronto a testimoniare: «Non ho nessuna difficoltà a dirlo, quel computer è mio. E miei sono tutti i documenti trovati all’ interno. Alcuni possono sembrare strani ma io sono un tipo curioso e scarico da Internet qualunque c osa». Come, ad esempio, la lunga lista degli iscritti alla massoneria nella quale, compaiono, tra gli altri i nomi dell’assessore regionale al Bilancio Salvatore Cintola e dell’ex manager di Villa Sofia, ora ad Agrigento, Giancarlo Manenti. «Anche quella è mia – ammette Cianciolo – l’ho copiata da un sito Internet, non ricordo se quello di Antimafia 2000 o quello di Claudio Fava». Le telefonate di Cuffaro «Le utenze intercettate e controllate sono un numero ridotto e minimale, ma comunque significativo, di quelle nella disponibilità di Cuffaro», dice il consulente della Procura. La radiografia dei numeri utilizzati dal governatore negli ultimi cinque anni rivela elementi che servono alla Procura a confermare ricostruzioni o a smentire dichiarazioni. Come quella messa a verbale dal presidente della Regione nell’interrogatorio del primo luglio 2004 quando ha smentito di essersi intrattenuto a casa sua con Mimmo Miceli e Salvatore Aragona la notte tra il 13 e il 14 febbraio del 2001. Circostanza invece con fermata dall’analisi delle “celle” che hanno localizzato i cellulari interessati nella zona di viale Scaduto, dove abita il governatore. Tra le utenze riconducibili a Cuffaro anche una scheda intestata a Francesco Campanella, consulente dell’ex sindaco di Villabate, e destinatario di un avviso di garanzia per mafia nella recente operazione “Grande mandamento”. Il presidente l’avrebbe utilizzata passandola in 29 cellulari diversi. Emergono poi contatti ripetuti e diretti tra Cuffaro e il maresciallo del Ros Giorgio Riolo. Soprattutto nel periodo “caldo” di giugno del 2001, pochi giorni prima del ritrovamento delle microspie a casa del boss Giuseppe Guttadauro grazie ad una informazione che – secondo l’ ipotesi accusatoria – sarebbe arrivata proprio da Cuffaro.
Riolo chiama direttamente il cellulare personale del presidente e, a ruota, partono una serie di ripetuti contatti tra Cuffaro e Borzacchelli e tra Riolo e Borzacchelli. è il 4 giugno, due giorni dopo la Procura chiederà di intercettare i telefoni di Mimmo Miceli. Le telefonate di Miceli Il consulente annota una circostanza singolare. In tutto il periodo che Miceli frequenta la casa di Guttadauro, da febbraio ad aprile del 2001, tra i due non c’è una sola telefonata. E’ la conferma – secondo i pm Di Matteo e Paci – che i due sapevano dell’esistenza dell’indagine, non usavano il telefono per prudenza ed erano sicuri (anche per le bonifiche fatte) che non vi fossero microspie nell’appartamento del boss. Il 28 aprile, però, Miceli smette di frequentare quella casa. E il 14 maggio salta fuori un inedito contatto. Da un’utenza riservata della caserma del Ros di Monreale qualcuno chiama il cellulare di Mimmo Miceli. Subito dopo Miceli chiama il suo amico medico Giuseppe Rallo, tramite nella conoscenza con Riolo. Seguono telefonate con Cuffaro. Ma l’analisi delle “celle” – dice il consulente – esclude la presenza di Giorgio Riolo quella mattina a Monreale. Dunque a chiamare Miceli dalla caserma fu qualcun altro. Il computer di Cianciolo è un portatile As us, sequestrato dai carabinieri nella macchina di Miceli al momento dell’arresto. Miceli racconta di aver subito detto che quel pc era del segretario provinciale dell’Udc Totò Cianciolo al quale il giorno prima aveva dato un passaggio e che lo aveva dimenticato in macchina. Tra gli altri file c’è un lungo elenco di appartenenti alla massoneria e una e-mail proveniente dal Senato in cui si parla di “Totò” e “Fratelli”. Per la Procura è di Miceli, il riferimento è a Cuffaro e l’assonanza con la massoneria facile. Ma Miceli continua a ripetere: non è mio. E Cianciolo conferma: «E’ vero, quando mi chiameranno lo dirò ai giudici».
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