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Le vicende fino ad ora ricostruite rappresentano, in qualche modo, il prodromo logico-fattuale di due condotte ascritte a MONTANTE: la tentata violenza privata nei riguardi di CICERO e l’accesso abusivo al sistema informatico per attingere informazioni sul conto di DI FRANCESCO, dopo la divulgazione della notizia della sua collaborazione.
Premesso che tali ultimi fatti – gli accessi abusivi al sistema informatico – non hanno riguardato il solo DI FRANCESCO, ma, come vedremo diffusamente infra, anche altri soggetti, più o meno invisi a MONTANTE, occorre sin da subito precisare, per una più immediata comprensione della vicenda, che la tentata violenza privata nei riguardi di CICERO e l’accesso abusivo al sistema informatico su DI FRANCESCO sono episodi strettamente connessi.
Tutto origina, infatti, dalla pubblicazione della notizia di stampa, nel luglio del 2014 (cfr., articoli dei quotidiani La Sicilia e Giornale di Sicilia del 18 luglio 2014), circa la collaborazione con la giustizia del predetto DI FRANCESCO, collaborazione emersa nel giudizio di appello del processo Redde rationem, in cui per la prima volta furono utilizzate le dichiarazioni dell’ex reggente della famiglia mafiosa di Serradifalco.
A seguito della diffusione di tale notizia, in data 16 settembre 2014, CICERO, all’epoca presidente dell’I.R.S.A.P. di ispirazione montantiana, inviava una email a MONTANTE, informandolo della novità. MONTANTE rispondeva immediatamente all’email (l’epistola elettronica di risposta risulta inviata dopo pochi minuti rispetto a quella dello stesso CICERO; cfr. allegato n. 49 alla memoria depositata da CICERO in data 2 novembre 2015), precisando, ancor prima di avere contezza delle dichiarazioni del collaboratore che lo avrebbero riguardato, che certamente DI FRANCESCO doveva ritenersi al soldo dell’Ing. DI VINCENZO, suo acerrimo nemico, il quale, a suo avviso, potendo contare sui proventi mafiosi (CICERO, dal memoriale riportato sub: “Montante, ricordo, tentava di convincermi che fosse Di Vincenzo il regista del pentimento Di Francesco, in quanto il citato imprenditore, disponendo per conto della mafia di illimitate quantità di denaro, poteva “comprare” chiunque.”), avrebbe potuto pilotarne le esternazioni (email di MONTANTE a CICERO: “Caro Alfonso, come stai? Grazie per gli articoli che mi invii, questo a mio avviso fa bene a raccontare le schifezze che noi dal 2004 diciamo a nostro rischio e pericolo, ma sono convinto che su questo pentimento Di Vincenzo ed i suoi pseudo legali hanno un ruolo di finanziatori”).
Appare utile, a questo punto, ripercorre funditus le dichiarazioni di CICERO, le quali rievocano la diversa reazione emotiva dello stesso CICERO e di MONTANTE rispetto al pentimento di DI FRANCESCO. Mentre, infatti, il primo accoglieva la notizia con soddisfazione, nell’auspicio che il collaboratore potesse disvelare i retroscena di alleanze tra mafia e impresa da lui denunciate anche in commissione antimafia, il secondo, anche nel corso di un incontro avuto de visu con CICERO dopo lo scambio epistolare, mostrava una certa preoccupazione.
Dal memoriale, confermato nell’atto istruttorio del 2 novembre 2015:
16 SETTEMBRE 2014
Nel periodo in cui venivano pubblicati gli articoli di stampa che diffondevano la notizia dell’arresto di Di Francesco, dal 12/03/2014 in poi e successivamente alla notizia del suo pentimento appreso il l8/07/2014, secondo un’abituale prassi seguita con lo stesso Montante e i diversi dirigenti di Confindustria, Catanzaro, Lo Bello e Venturi, attuata costantemente anche con i miei collaboratori e legali di fiducia, di scambiarci reciprocamente via email le notizie di stampa di comune interesse – avevo inviato all’indirizzo di posta elettronica di Montante circa quindici articoli di stampa riguardanti l’operazione “Colpo di Girazia”, l’arresto di Di Francesco e il suo successivo pentimento. Notizie queste che ritenevo più che importanti considerata la nota azione di contrasto ai poteri affaristico-mafíosi che avevo posto in essere nel contesto dell’area industriale di Caltanissetta.
[…] Montante mi rispondeva via email asserendo che, sul pentimento di Di Francesco, Di Vincenzo ed i suoi pseudo legali avevano un ruolo di finanziatori. […] Montante cercava di convincermi che fosse Di Vincenzo il regista del pentimento di Di Francesco in quanto il citato imprenditore, disponendo per conto della mafia di illimitate quantità di denaro, poteva “comprare” chiunque […].
L’incontro di CICERO con MONTANTE, successivo all’email in questione, rinviene una conferma nell’analisi dei rispettivi tabulati telefonici, atteso che, nella data del 29 settembre 2014, l’utenza di CICERO veniva censita in territorio di Serradifalco, nei pressi dell’abitazione del MONTANTE, il quale, quella stessa mattina, risultava avere chiamato proprio CICERO, verosimilmente per comunicargli l’orario dell’incontro (cfr. C.N.R. n. 1062/2017 cat. II Mob. SCO- 3° Gruppo del 26 aprile 2017, all. 4 della C.N.R.).
Orbene, ciò posto deve rilevarsi come, a seguito dell’acclarata divulgazione delle notizie sulla collaborazione di DI FRANCESCO, e ancor prima della diffusione dell’ulteriore notizia che le sue propalazioni riguardassero MONTANTE, quest’ultimo intraprendeva tre tipi di attività:
cominciava ad interrogare, mediante la complicità di terzi, oggi coimputati (DI SIMONE PERRICONE e DE ANGELIS, nonché GRACEFFA, per il quale si procede separatamente), le banche dati della polizia, per attingere notizie sul conto di DI FRANCESCO;
si attivava per accreditare l’idea del complotto nei suoi confronti, sotto la presunta regia di DI VINCENZO e con l’altrettanto presunta esecuzione, protagonistica, di DI FRANCESCO;
esercitava vigorose pressioni, di tipo ricattatorio, su CICERO, affinché quest’ultimo potesse veicolare l’idea, nei consessi istituzionali, che MONTANTE si fosse attivato per contrastare la mafia di DI FRANCESCO ancor prima di essere da quest’ultimo attaccato, così da suggerire una lettura delle dichiarazioni del neocollaboratore in un’ottica ritorsiva nei suoi riguardi.
§ 2. Gli accessi abusivi al sistema informatico della polizia sul conto di Di Francesco (cenni)
Quanto alle circostanze di cui al punto 1), come verrà puntualmente ricostruito infra, MONTANTE poteva giovarsi di una filiera di soggetti attraverso i quali acquisire notizie riservate sul conto dei propri avversari.
Il diretto referente di MONTANTE era Diego DI SIMONE PERRICONE, già appartenente alla Polizia di Stato e, grazie alla segnalazione dello stesso MONTANTE, migrato, con maggiore gratificazione economica, in una società privata, AEDIFICATIO s.p.a., che erogava, in favore di Confindustria nazionale, il servizio di sicurezza.
Al fine di soddisfare le richieste “investigative” di MONTANTE, DI SIMONE, non più in possesso, dopo il congedo dalla Polizia di Stato, delle credenziali per la consultazione della banca dati del ministero dell’Interno, si rivolgeva, in maniera sistematica, ad un suo ex collega, Marco DE ANGELIS, in servizio presso la squadra mobile di Palermo, il quale gli garantiva l’accesso al sistema informatico da consultare. Infatti, DE ANGELIS, a sua volta, nei periodi in cui non era in possesso delle credenziali proprie, per la loro temporanea scadenza o per il suo trasferimento fuori sede, si rivolgeva a GRACEFFA, il quale, anche lui in servizio presso la squadra mobile di Palermo, forniva puntualmente tutti i dati, riservati, che gli venivano richiesti.
Non appare dunque casuale che, come si avrà modo di approfondire postea, nella famosa “stanza segreta” della villa di MONTANTE veniva rinvenuta una enorme mole di atti e dati relativi a terzi, provenienti da tali interrogazioni abusive del sistema informatico.
Alcuni di tali dati, per quanto qui rileva, riguardavano proprio DI FRANCESCO e comprendevano i suoi movimenti carcerari e i permessi premio di cui lo stesso aveva fruito durante lo stato detentivo e dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia.
A DI FRANCESCO, infatti, risulta dedicata un’apposita cartella del file excel, contraddistinta dalla iniziali del suo cognome – “DF” – e contenenti dati provenienti da un accesso abusivo alla banca dati SIDET eseguito l’11 giugno 2015, ossia dopo l’apprensione manifestata da MONTANTE per le dichiarazioni del collaboratore.
I fatti testé descritti possono essere pienamente compresi, nella loro prospettiva finalistica, soltanto nell’ambito di un’ermeneutica sistematica delle altre vicende che ruotano intorno al binomio MONTANTE-DI FRANCESCO.
§ 3. La presunta congiura ai danni di Montante ordita da Di Vincenzo. Il dossier di Giarratana e Cortese
L’odierno imputato, in sede di riesame avverso il provvedimento di sequestro del 22 gennaio 2016, riteneva di dovere produrre un esposto anonimo, che formalmente era stato indirizzato alla Direzione Nazionale Antimafia e a Confindustria nazionale, in questo caso alla specifica attenzione dell’Avvocato Marcella PANUCCI, nel quale si suggeriva la tesi del complotto, in danno di MONTANTE, da parte di DI VINCENZO e dell’Avv. GENCHI, organizzato nel corso di tre incontri che i due presunti complici avrebbero avuto nel mese di settembre (l’ultimo tra il 17 e il 18 di settembre 2014; vd. produzione difensiva in sede di riesame). La tesi del complotto in pregiudizio di MONTANTE è pregiudicata da una forte friabilità logica.
Infatti, se lo scritto indirizzato all’Avv. PANUCCI reca la data del 2 ottobre 2014 e l’ultimo degli incontri, nel quale si sarebbe perfezionato il pactum sceleris in danno dell’odierno imputato, si sarebbe svolto tra il 17 e il 18 settembre 2014, non si comprende come di tale congiura MONTANTE potesse avere parlato nell’email inviata a CICERO già alla data del 16 settembre 2014.
Salvo a volere ritenere che non si tratti di una congiura di DI VINCENZO e di GENCHI in danno di MONTANTE, ma di una impostura di MONTANTE che, per coprire i propri rapporti con esponenti mafiosi, di cui da lì a poco DI FRANCESCO avrebbe parlato, era disposto a gettare materiale fangoso sul conto degli asseriti congiurati.
Non può certo leggersi sotto la lente della casualità che tutti i soggetti – Tullio GIARRATANO, Umberto CORTESE, Pietro DI VINCENZO, Salvatore IACUZZO, Gioacchino GENCHI, Vladimiro CRISAFULLI, l’Avv. GRIPPALDI, Davide DURANTE – menzionati nell’esposto quali oppositori di MONTANTE, siano stati oggetto, su richiesta di quest’ultimo, dell’attività illecita di raccolta di dati riservati.
Ha sostenuto a tal proposito la difesa che MONTANTE, ormai da tempo, aveva ragione di temere iniziative calunniose da parte di soggetti riconducibili alla passata gestione confindustriale, riferibile a DI VINCENZO, tanto vero che Salvatore ALAIMO, già assessore al Territorio e Ambiente della provincia di Caltanissetta, nel 2011 e nel 2012 era stato sentito dalla D.I.A. nissena in merito ad un dossier, che egli avrebbe ricevuto da Tullio GIARRATANO e Umberto CORTESE, diretto contro MONTANTE (cfr. verbale di assunzioni di informazioni da parte del difensore, rese da ALAIMO, il 19 marzo 2016).
Tale dossier, in particolare, presenterebbe delle assonanze contenutistiche rispetto all’oggetto delle dichiarazioni di DI FRANCESCO, sicché potrebbe considerarsi normale che MONTANTE, di fronte alla novità delle rivelazioni del collaboratore, potesse temere di esserne il bersaglio.
Tale argomentazione difensiva, tuttavia, è fallace, per un doppio ordine di ragioni.
In primo luogo, non è dato comprendere perché MONTANTE avesse immediatamente correlato l’asse DI VINCENZO-GIARRATANO-CORTESE con il pentimento di DI FRANCESCO e, soprattutto, perché avesse ritenuto sine ullo medio che la collaborazione di quest’ultimo con la giustizia fosse pilotata. Infatti, laddove fosse esistita una stabile alleanza tra DI FRANCESCO da un lato e DI VINCENZO, GIARRATANO e CORTESE dall’altro, che avesse partorito, in ipotesi, il dossier di cui si parla, lo scenario che si sarebbe potuto subito prefigurare, diffusa la notizia del pentimento del primo, è che i secondi sarebbero potuti cadere sotto i colpi della collaborazione con la giustizia, per il principio simul stabunt simul cadent.
Invece, l’immediato timore di MONTANTE era stato che la collaborazione potesse essere stata finanziata da DI VINCENZO per colpire lui, secondo quel modello di “mecenatismo giudiziario” che egli, secondo DI FRANCESCO, aveva già provato a sperimentare per attaccare IACUZZO.
In secondo luogo, la difesa non riesce a spiegare le ragioni della convergenza delle dichiarazioni rese, nei riguardi di MONTANTE, da molteplici collaboratori di giustizia, all’interno di una parabola temporale che inizia nel 2008, ossia ben prima del presunto dossier e della collaborazione di DI FRANCESCO (successiva all’operazione Co/po di grazia dell’11 marzo 2014), e si completa nel 2016.
Basti pensare, ad esempio, alle dichiarazioni di Pietro RIGGIO del dicembre 2008 sulla costruzione degli appartamenti, da parte di una società di MONTANTE, a San Cataldo, con la connessa parentesi “autorizzatoria” negoziata con la famiglia mafiosa locale grazie alla mediazione della famiglia mafiosa di Serradifalco. Tali dichiarazioni, infatti, sia pure con delle divergenze (scarsamente significative), venivano confermate da DI FRANCESCO, ma diversi anni dopo (maggio 2016), conseguendone l’impossibilità di un accordo preventivo animo nocendi.
Inoltre, come visto, il primo a parlare della vicinanza di MONTANTE alla famiglia mafiosa degli ALLEGRO è BARBIERI, nel corso di un interrogatorio dell’aprile 2009, con dichiarazioni rivelatesi convergenti, sette anni dopo, con quelle di Ciro VARA (2016), sicché il tentativo difensivo di liquidare l’indagine come il portato di una raffinata strategia calunniatoria, che vede al vertice l’Ing. DI VINCENZO, non regge all’urto delle complessive acquisizioni probatorie.
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