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Le chat della messaggistica criptata Sky ECC non sono “documenti e dati informatici” acquisibili senza un provvedimento autorizzatorio motivato del giudice. È una pronuncia destinata a fare giurisprudenza quella emessa dalla sesta sezione penale della Cassazione (presidente Gaetano De Amicis, relatore Ercole Aprile), che ha annullato l’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano che ha confermato l’ordinanza del 14 aprile 2023 con cui il gip del Tribunale di Milano aveva disposto l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Bruno Iaria, indagato con l’accusa di avere fatto parte di un’associazione per delinquere dedita al traffico di cocaina importata dall’estero, destinata in parte ad essere trasportata in Calabria.
Gli indizi di colpevolezza si basavano principalmente sulla chat di Sky ECC, cifrata in un server situato in Francia. Tale materiale, acquisito dal pubblico ministero italiano mediante l’emissione di ordini europei di indagine, era stato considerato utilizzabile dal gip e dal Tribunale del riesame di Milano ai sensi dell’articolo 234-bis del codice di procedura penale, secondo cui “è sempre consentita l’acquisizione di documenti e di dati informatici conservati all’estero”. Tuttavia, secondo la sesta sezione della Cassazione, “i giudici di merito, nel caso di specie, hanno fatto riferimento in maniera generalizzata”.
I giudici della Suprema Corte, riprendendo una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 2 marzo 2021 (H.K., C-746/18), nel ricordare come questi dati “esterni” alle comunicazioni oggetto dell’attività investigativa “siano in grado di svelare informazioni molto precise sulla vita privata delle persone i cui dati sono stati conservati, come le abitudini della vita quotidiana, i luoghi di soggiorno permanenti o temporanei, gli spostamenti giornalieri o di altro tipo, le attività esercitate, le relazioni sociali di tali persone e gli ambienti sociali da esse frequentati”, hanno stabilito “in primo luogo che l’accesso deve essere circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica; e in secondo luogo che non possa essere il pubblico ministero l’autorità competente ad autorizzare l’accesso a tali dati”.
In ordine al primo profilo, la Corte ha ribadito come “le deroghe alla protezione dei dati personali e le limitazioni di quest’ultima devono compiersi entro i limiti dello stretto necessario: quindi l’accesso deve soddisfare il requisito di proporzionalità”, con la conseguenza che “tanto la categoria o le categorie di dati interessati, quanto la durata per la quale è richiesto l’accesso a questi ultimi, siano, in funzione delle circostanze del caso di specie, limitate a quanto è strettamente necessario ai fini dell’indagine in questione”.
Quanto al secondo profilo, la Corte ha rilevato come “solo un giudice o un’autorità indipendente terza nel processo possano esercitare in modo imparziale ed obiettivo il controllo della sussistenza delle condizioni sostanziali e procedurali per l’accesso”, così da garantire “un giusto equilibrio tra, da un lato, gli interessi connessi alle necessità dell’indagine nell’ambito della lotta contro la criminalità e, dall’altro, i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali delle persone i cui dati sono interessati dall’accesso”.
“In questa ottica – concludono i giudici della sesta sezione della Cassazione – è possibile concludere che l’acquisizione all’estero di documenti e dati informatici inerenti a corrispondenza o ad altre forme di comunicazione debba essere sempre autorizzata da un giudice: sarebbe davvero singolare ritenere che per l’acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico sia necessario un preventivo provvedimento autorizzativo del giudice, mentre per compiere il sequestro di dati informatici riguardanti il contenuto delle comunicazioni oggetto di quel traffico sia sufficiente un provvedimento del pubblico ministero”.
Una ulteriore e importante riflessione dei Supremi giudici ha riguardato i principi affermati di recente dalla Corte Costituzionale, con riguardo alla sentenza n. 17 del 17 giugno 2023, resa nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’acquisizione di plurime comunicazioni del senatore Matteo Renzi, disposta dalla Procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta a carico del leader di Italia viva.
La Consulta aveva posto una rilevanza centrale alle garanzie previste dall’articolo 15 della Costituzione: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria”.
Infatti i giudici della sesta sezione della Cassazione scrivono: “I Giudici delle leggi hanno recentemente chiarito il concetto di corrispondenza, cui va assicurata la tutela accordata dall’articolo 15 della Costituzione, che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, consentendone la limitazione soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”. Questo “prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato e si estende, quindi, ad ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici”.
Ironia della sorte, tutte le identiche censure formulate dalla Suprema Corte di Cassazione avevano formato oggetto dell’atto di appello con cui l’avvocato Gioacchino Genchi aveva impugnato la sentenza della settima Sezione del Tribunale di Milano che in primo grado aveva condannato a 16 anni di reclusione Vincenzo Amato, 46enne di Galatina, in provincia di Lecce, imputato di tre episodi di narcotraffico di ingenti quantità di stupefacenti importati in Italia.
Nell’atto di appello l’avvocato Gioacchino Genchi aveva pesantemente stigmatizzato la tecnica della cosiddetta “pesca a strascico”, mediante cui sono state attivate, in modo altrettanto illecito, le intercettazioni delle chat di altri soggetti che utilizzavano Sky ECC, i cui dati sono stati poi surrettiziamente fatti passare per “documenti” e come tali acquisiti in Italia.
In quel processo, in integrale accoglimento dell’appello dell’avvocato Gioacchino Genchi, lo scorso 9 ottobre, prima che fosse pubblicata la Sentenza della Corte di Cassazione, la quinta sezione della Corte di appello di Milano, ribaltando la sentenza di condanna emessa in primo grado a 16 anni, ha assolto Amato con la formula più ampia e liberatoria, “per non avere commesso il fatto”.
A prescindere dalla vicenda processuale che ha riguardato Vincenzo Amato, nella quale è stato anche dimostrato – grazie ad una articolata indagine difensiva basata sull’elaborazione e sull’analisi delle chat – che lo stesso non era l’autore delle conversazioni su cui si fondavano le imputazioni, quanto emerso in quel processo è servito a certificare che le modalità di acquisizione di quelle chat e della progressiva individuazione dei bersagli, con la ulteriore sottoposizione a intercettazione dei relativi target (i codici “PIN”), era avvenuta in modo del tutto illegale, mediante l’esecuzione di plurime intercettazioni telematiche non autorizzate dai giudici, in dispregio dei più elementari principi costituzionali.
In tale contesto, alla luce dell’overruling costituito dalla recente pronuncia della Sesta Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza “Iaria” (n. 41554/23 del 26 ottobre), cui qualche ora dopo si è aggiunta la pubblicazione della omologa sentenza Kolgiokaj (n. 41555/23 del 26 ottobre) – la prima riguardante l’annullamento dell’ordinanza del riesame del Tribunale di Milano e la seconda una pressoché identica ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, entrambe basate sulla chat di Sky ECC – è prevedibile, se non certo, che a breve della questione saranno investite le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, cui è auspicabile vengano rappresentate in modo chiaro e dettagliato le problematiche tecniche sottese alla insidiosità delle chat di Sky ECC, con le quali si corre il rischio di trasformare i processi penali in veri e propri giudizi ordalici, di medievale memoria.
Gioacchino Genchi
Avvocato penalista
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