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“Il problema vero non è quello di ridurre le intercettazioni, ma di farle bene e solo se servono davvero. Troppe volte sono state attivate intercettazioni inutili, solo per insipienza e sciatteria degli inquirenti. Come quella volta che fu intercettato dalla Polizia, solo per caso, un noto magistrato, nel corso di una attività di indagine…”. A dirlo, in una intervista all’Adnkronos, è Gioacchino Genchi, l’ex funzionario di Polizia e noto consulente informatico di numerose Procure, oggi avvocato penalista con casi seguiti in tutta Italia. “Il tema delle intercettazioni è molto più complesso del modo semplicistico con cui viene affrontato tanto da quelli che vorrebbero ridurle e limitarle, che di quelli che sostengono che va bene così è che anzi bisognerebbe farne di più. Le intercettazioni sono state e sono uno strumento formidabile e sotto diversi profili fondamentali in certe indagini, per reati gravissimi di criminalità organizzata e di terrorismo. Chi non vuole ammetterlo o è un ignorante o è in male fede”, dice. “Il problema è un altro – spiega Genchi- Le intercettazioni hanno un costo. Impegnano la polizia giudiziaria e gli uffici giudiziari nel loro svolgimento. Tenuto conto del rapporto che esiste fra quante se ne fanno e quanto poi risultano utili, il rapporto percentuale non supera il 3%”.
“Quindi, a ben riflettere – aggiunge Genchi -il problema non è quello di ridurle ma di farle bene e solo quando servono”. “Le porto un esempio – dice – Aperto un fascicolo di indagini sul conto di un soggetto, individuate le utenze telefoniche che utilizza dalla mera acquisizione delle anagrafiche commerciali presso i gestori, si inizia subito con l’intercettare tutti i numeri, senza svolgere altri accertamenti. Poi, magari, si scopre che quelle utenze cellulari non li usa l’indagato che si voleva intercettare, ma sono in uso alla moglie e ai figli, che sono stati intercettati inutilmente, con quanto ne consegue, in termini di violazione della privacy e dei correlati costi, a carico dell’erario”. “Le intercettazioni inutili, attivate solo per insipienza degli inquirenti e per un mancato ed efficace controllo da parte dei pm e dei gip sono numerosissime”, sottolinea Genchi, ricordando di non avere mai fatto intercettazioni.
E ricorda: “Questa è una notizia mai venuta fuori prima di oggi. Ma nel corso di una indagine della Polizia di molti anni fa, in una delle tante intercettazioni a casaccio, finì pure intercettato il cellulare di servizio del dottor Roberto Scarpinato, quando questi svolgeva le funzioni di Procuratore aggiunto a Palermo. Ovviamente, nessuna malafede ma molta sciatteria. L’intercettazione fu immediatamente disattivata, anche se dopo alcuni giorni, quando mi accorsi che l’utenza era in uso a un magistrato dello stesso ufficio di Procura che aveva disposto le intercettazioni e che, ovviamente, era del tutto estraneo alle indagine sulle rapine”. “Quindi, come vede, il problema non è intercettazioni si, intercettazioni no – spiega Genchi -Quella che bisogna evitare nella indagini giudiziarie è che gli inquirenti si lascino contagiare dalla sindrome di Cristoforo Colombo”. Ma cosa è la sindrome di Cristoforo Colombo? “E’ quella di chi parte senza sapere dove deve andare. Arriva senza sapere dove è giunto, e fa tutto il viaggio a spese dello Stato…”.
‘La separazione delle carriere? Oggi non è una priorità, di fatto già accade’
Parlando, poi, della proposta di separazione delle carriere nella magistratura, Gioacchino Genchi, è convinto che “il problema del malfunzionamento della giustizia in Italia oggi non è solo quello della separazione delle carriere dei magistrati”. “O meglio – spiega – se questo poteva essere un problema prima, oggi non rappresenta una priorità. Le carriere dei magistrati sono ormai, di fatto, separate e non c’è più il rischio che i pm possano fare i giudici. Purtroppo, devo dire, non c’è nemmeno il rischio opposto, che dei giudici vadano a fare i pubblici ministeri, come probabilmente sarebbe auspicabile. Dico questo perché ben oltre la nominale separazione delle carriere, a molti pm quella che manca è proprio la cultura della giurisdizione. Quindi, se vi fosse la possibilità di un passaggio più agevole sarebbe oggi auspicabile”.
Genchi, dunque, sottolinea che bisogna stare “attenti a propugnare riforme sulla base di slogan di una certa politica, che è pure superata e che non mi pare abbia nemmeno portato fortuna a quanti l’hanno propugnata”. E, quindi, che cosa occorre secondo Gioacchino Genchi? “Occorre una riforma seria e attenta del processo penale, che solo persone realmente competenti e scevre da corporativismi e interessi di casta possono fare”. E aggiunge: “Se vuole che le dica una priorità partiamo dall’udienza preliminare. Una delle più grandi prese in giro, per com’è strutturata, del processo penale. Una perdita di tempo che costa agli imputati, alle persone offese e allo Stato tanti quattrini che, al più, serve solo ad allungare i tempi del processo, favorire le prescrizioni e far lievitare i costi dei gratuiti patrocini. Chi non vuole ammetterlo fra gli addetti ai lavori o è un incompetente o è in mala fede”.
La soluzione quale è, allora? “E’ semplice. In primo luogo basterebbe prevedere che la richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm debba essere motivata, con una analitica illustrazione dei mezzi di prova, a differenza di quanto accade oggi”. “Purtroppo, ultimate le indagini, rispetto al fastidio di dovere articolare una richiesta di archiviazione motivata, oggi molti pm si determinano a formulare la richiesta di rinvio a giudizio, con la semplice apposizione di una firma nel prestampato, dove i capi di imputazione sono il 100 per cento delle volte gli stessi di quelli dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari”.
‘L’udienza preliminare diventa una presa in giro ed è una perdita di tempo’
“È così che l’udienza preliminare diventa una presa in giro e si rileva nella stragrande maggioranza dei casi una perdita di tempo – dice ancora -ove fosse prevista la realizzazione di una motivazione per la richiesta di rinvio a giudizio, come è richiesta per le applicazioni delle misure cautelari, anche molti imputati avrebbero la possibilità di riflettere meglio sull’opportunità e sui rischi di affrontare un processo e si favorirebbe i ricorsi ai riti alternativi per la definizione del procedimento penale con l’applicazione della pena concordata, o con il giudizio abbreviato”. “In questo modo si otterrebbe una indubbia deflazione del carico dei giudizi alle sezioni penali, tanto collegiali che monocratiche, ove le conclusioni dei processi con assoluzioni sono maggiori, proprio per la mancanza di un filtro preliminare”, aggiunge.
“In questo modo l’udienza preliminare potrebbe essere dedicata alla valutazione di ammissibilità e utilizzazione dei mezzi di prova, sgravando le successive fasi preliminari all’apertura dei dibattimento e, comunque, il decreto che dispone il giudizio, al pari della richiesta di rinvio a giudizio, dovrebbe essere motivato e non costituire un prestampato, nel quale, con le ormai fin troppo usuali tecniche del copia e incolla, il gup si limita a ricopiare i capi di imputazione della richiesta di rinvio a giudizio, che poi sono gli stessi di quelli dell’avviso di conclusione dell indagini preliminari”. Per Genchi bisognerebbe “abolire la tecnica del “copia e incolla”. E bisognerebbe farlo per legge, con una norma apposita che dichiara nulli, inutilizzabili se non addirittura irricevibili, tutti gli atti giudiziari, da chiunque redatti, realizzati con l’uso della tecnica del “copia incolla””.
“In molti processi, infatti, le annotazioni e le informative della polizia giudiziaria, spesso con i medesimi errori oltre che refusi, diventano prima richieste di applicazioni di misure cautelari, poi ordinanze del gip e in molti casi, dopo, anche sentenze, specie nei giudizi che vengono definiti con il rito abbreviato”.
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