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PALERMO – Il gelo di Berlusconi sulla eventuale ricandidatura di Totò Cuffaro a governatore della Sicilia ha un effetto immediato. Pur prendendosela con «i giornali che deformano la realtà» e assicurando che il Cavaliere lo vorrebbe su quella poltrona ancora a lungo, il presidente sotto processo per favoreggiamento a Cosa Nostra rinuncia alla battaglia per anticipare le regionali, le rinvia alla loro scadenza naturale, a dopo le politiche. E intanto decide di candidarsi alla Camera. Anche se questa deviazione verso Montecitorio forse lo allontanerà definitivamente dal vertice della Regione. Passo sul quale rinvia la scelta, mentre annuncia un’altra clamorosa decisione: «Pronto a ritirarmi dalla politica in caso di condanna in primo grado».
Rientrato dalla Spagna con Casini dopo un vertice, il governatore sempre gioviale appare amareggiato, un po’ abbacchiato.
Che ci sia stato del gelo anche con il presidente della Camera?
«Quale gelo e gelo? Non vi siete stancati di inventare notizie? Ho parlato con Berlusconi, Fini e Casini. Tutti a dirmi: “Non c’è problema, resta, resta…”».
Ma resta il disagio.
«Il disagio è mio. Non loro. La campagna per le Regionali sta diventando una campagna di veleni. Un referendum pro o contro me, pro o contro la mafia. Meglio un passo indietro, decideremo tutto dopo. Non me la sento di far danno ai siciliani. Io so di non essere mafioso. Ed è assurdo che debba subire questa crociata condotta da Repubblica e dal Corriere della Sera».
E’ colpa dei giornali il suo processo?
«Un perito dell’accusa, il vicequestore Genchi, ha detto in aula che sono state controllate 67 mila mie telefonate, 20 anni di utenze, e che non è stato trovato un contatto con un mafioso…».
Ma incontrava Michele Aiello, il cosiddetto re della Sanità privata vicino a Provenzano.
«E chi lo sapeva che era un mafioso? Per me era solo un ingegnere».
E i telefonini di Francesco Campanella, il consulente di Villabate che fornì la carta di identità a Provenzano?
«Un giovane dalla faccia pulita con un negozio di cellulari a due passi da casa mia, a Palermo. E compravo le schede da lui. Chi poteva sapere il resto? Né io, né il sindaco di centrosinistra di Bagheria che, ignaro, lo aveva come consulente. Quando ho capito, l’ho allontanato. Ma se avete deciso di crocefiggermi, eccomi qua, pronto al sacrificio».
Un sacrificio deciso a Roma?
«Fini l’ha detto chiaro. E’ un problema della classe dirigente della Sicilia. Infatti, Nania, Alfano, Schifani, Micchichè, tutti sono intervenuti per smentire le interpretazioni date alle parole di Berlusconi».
Ha parlato con il Cavaliere?
«Grandi apprezzamenti. Da un punto di vista umano è un uomo straordinario».
Ma lei non insiste sull’anticipo delle regionali, come invece continua a invocare il suo amico Raffaele Lombardo?
«Conviene la scadenza naturale di giugno. Dopo le politiche. Non me la sento più di fare una crociata, se deve succedere il finimondo. Sono io a dire che è meglio fare un passo indietro. Visto che mi descrivete come il più colluso d’Italia, sbattuto in prima pagina come un mostro. Ma il Signore mi aiuterà».
Ha capito che l’Udc, con lei sotto processo e con tanti incriminati o arrestati, non può più fare da traino al Polo? E’ diventata zavorra?
«Zavorra no. L’Udc è fatta da migliaia di amministratori. Non si può criminalizzare un partito. Non è un raggruppamento di mafiosi».
Sul mancato anticipo delle regionali, cosa dirà al suo amico Lombardo?
«E’ riflessivo. Mi vuole bene. Capirà che non si può chiedere ai siciliani di scivolare fra i veleni. Noi siamo interessati a chiedere un voto per un progetto. Anche un voto di simpatia. Ma non un voto fra buoni e cattivi».
Si candida quindi alle politiche?
«Non per fuggire. Come accadde per le “europee”, una volta eletto a Strasburgo, rimasi governatore a Palermo».
Si nasconde dietro l’immunità?
«Se fossi partito, nemmeno mi avrebbero processato. Ma io ho rispetto della magistratura».
Critica però i magistrati che sono andati ad ascoltare Michele Santoro a Palermo.
«Critico chi va a presunti eventi culturali con tanto di banchetto elettorale. Io ho rispetto per i magistrati. Ne chiedo un po’ per me. Aspettando la sentenza, come si dovrebbe fare in un paese civile».
E poi?
«Poi, se ci fosse una condanna per favoreggiamento? Mi ritirerei dalla politica. Non aspetterei l’appello. Mi dimetterei un minuto dopo, dedicandomi a preparare la difesa per il secondo grado».
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