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Strage di Caraffa, fermato nipote lo accusano le tracce telefoniche

A Claudio Tomaino contestato l'omicidio plurimo. Quel mattino un appuntamento con le vittime - I killer presero i cellulari dei morti inviando sms per depistare

Repubblica - 30 marzo 2006 - di Francesco Viviano

CATANZARO – «Si è vero, quella mattina avevo un appuntamento con mio zio Camillo a Caraffa, era un appuntamento importante che avrebbe cambiato la sua vita». Così ha raccontato a polizia e carabinieri Claudio Tomaino, arrestato per omicidio plurimo volontario ieri pomeriggio dai carabinieri. Tomaino è nipote di Camillo Pane, ucciso lunedì scorso nelle campagne di Caraffa, a pochi chilometri da Catanzaro, assieme alla moglie Giuseppina ed ai figli Maria ed Eugenio, assassinati con colpi di pistola l’ultimo dei quali sparato alla testa. Ma la sua versione non convince, perché ad inchiodare Claudio Tomaino ci sono le tracce telefoniche che ha lasciato il giorno del massacro ma anche prima e dopo. Tracce che ricostruiscono anche i suoi spostamenti e che confermano la sua presenza sul luogo della strage mentre Camillo Pane ed i suoi familiari venivano assassinati. Ma anche lui, secondo le ipotesi degli investigatori, avrebbe sparato assieme ad altre persone che non sono state ancora identificate. Il movente sarebbe da inquadrare nell’ambito di affari Tomaino e Pane avrebbero fatto assieme, affari relativi alla compravendita di terreni, case e mobili antichi.

Tutto questo è stato ricostruito attraverso una minuziosa perizia tecnica svolta a tempo di record dal consulente nominato dalla Procura, il vicequestore aggiunto della polizia – in aspettativa ed esperto di informatica – Gioacchino Genchi. Un lavoro tecnico sviluppato attraverso i supporti informatici ed altri reperti che gli sono stati forniti da polizia e carabinieri. Questa perizia ha messo gli investigatori sulle tracce di Tomaino che però fino a tarda sera ha continuato a negare ogni suo coinvolgimento nella strage. É stato accertato che Camillo Pane ed il nipote, che vive a Lamezia Terme dove da un mese gestisce un pub, si erano sentiti il giorno prima fissando un appuntamento per la mattina dopo a Caraffa. Quella mattina, poche ore prima della strage, i due si erano risentiti, forse per stabilire con maggiore precisione il luogo dell’appuntamento.

Verso le 11,30 Camillo Pane, la moglie e i due figli vengono massacrati. I killer tentano di nascondere i quattro cadaveri all’interno di due casupole abbandonate, prelevano i cellulari di Giuseppina Pane e della figlia e si allontanano con l’automobile delle vittime, una Fiat Stilo che è stata ritrovata ieri nei pressi della stazione ferroviaria di Paola, vicino Cosenza. Gli assassini non sanno che qualche ora dopo la strage i cadaveri della famiglia Pane sono stati ritrovati dai carabinieri, avvertiti da un contadino che aveva sentito gli spari. E a quel punto mettono in atto la seconda parte del piano. Con i cellulari di Maria e della figlia Eugenia fanno una serie di telefonate ai parenti. Una alle 18,41 ad Angela Sacco, cugina di Camillo Pane: «Angelina – dice il messaggio inviato dal telefono di Maria Pane – non ti ho detto niente ma stasera partiamo perché dobbiamo ricoverare Camillo in un ospedale perché ha dei problemi di salute. Sai com’è Camillo, non vuol fare sapere niente a nessuno quindi se non ci trovi non ti preoccupare. Ciao».

Ma non è soltanto questo il messaggio che doveva servire a depistare. Altri sono stati rintracciati e saranno trascritti nelle prossime ore. Genchi, nella sua relazione di oltre 200 pagine già consegnata ai magistrati della procura calabrese, ha anche ricostruito tutti gli spostamenti di Claudio Tomaino. É stato accertato che nel momento in cui i killer giustiziavano la famiglia Pane il nipote di Camillo era presente sul luogo del massacro. In quel momento, infatti, ha ricevuto una telefonata che ha rifiutato. Una telefonata che coincide proprio con l’ora del massacro stabilita dal medico legale che ha eseguito l’autopsia sui cadaveri delle quattro vittime.

La perizia ha anche stabilito che una delle due pistole utilizzate per sterminare la famiglia Pane era calibro 9 per 21, dello stesso tipo che Tomaino possedeva e che non è stata trovata dagli investigatori. «L’avevo prestata a mio zio – ha raccontato Tomaino – perché mi aveva detto che era preoccupato e che aveva paura, anche del cognato marocchino». Un depistaggio subito smascherato tanto da convincere Claudio Tomaino a recarsi la sera stessa del massacro da uno dei più noti avvocati italiani, Armando Veneto.